Nel nostro DNA pare spesso predominante la parte negativa. Dedichiamo, chi più chi meno, una sempre eccessiva parte del nostro tempo a sottolineare ciò che non va bene senza mettere sotto i riflettori ciò che di positivo abbiamo. Questo, sia per quanto riguarda aspetti personali sia per ciò che centinaia di anni di civiltà e di “crescita” umana ci hanno permesso di arrivare ad avere oggi. E pensiamo che i diritti e le libertà acquisite che spesso non difendiamo perché ci paiono così scontate, da altre parti di questa palla chiamata mondo sono tutto tranne che lontanamente a disposizione di uomini e donne come noi, che hanno solo sbagliato il posto in cui nascere. Posti, aimè troppi nel mondo, dove le crudeltà vincono sul rispetto delle persone e dove si commettono violenze in risposta alle violenze, non educando, ma aumentando la spirale di odio e sofferenza negli animi umani.
È questo il senso di Trash Cuisine, spettacolo in prima nazionale, presentato sabato 18 luglio al teatro Ristori di Cividale del Friuli all’interno della rassegna Mittelfest messo in scena dai Belarus Free Theatre, gruppo segreto bielorusso che con mille difficoltà e minacce di morte, presenta al pubblico i disastri della dittatura del loro paese, ultima dittatura europea. Lo spettacolo presentato racconta attraverso testimonianze reali, musica, danza, citazioni di Shakespeare la pena di morte ancora, incredibilmente, in vigore in Bielorussia così come in altri 94 paesi del mondo.
Nello spettacolo si presentano le storie di tortura del diciannovenne Liam Holden torturato per poi essere ucciso nel 1973 per la presunta uccisione di un soldato inglese, il rapimento in Argentina, nel 2006, di Jorge Julio López testimone chiave nel processo contro Etchecolaz riconoscendo per la prima volta il genocidio di 30.000 desaparecidos. La narrazione continua facendo riflettere sugli ultimi attimi prima dell’esecuzione di un condannato con procedure che hanno poco a che fare con la dignità umana se non per chi deve assistere e non per chi viene privato della vita. Fra i momenti più coinvolgenti della serata quelli con protagonista, in secondo piano, il cibo. La prima scena con due “boia” che di fronte ad un piatto di fragole e panna disquisiscono sulle diverse modalità e numeri delle esecuzioni, la seconda quando il protagonista racconta come cucinare e mangiare, interamente, un uccello, coprendosi il volto per non essere giudicati da Dio. L’imitazione delle diverse modalità di esecuzione rimane impressa nel pubblico per la sua crudele realtà, un’attrice imita i rumori della camera a gas, della decapitazione simile all’impiccagione, per proseguire con il plotone d’esecuzione, la lapidazione e l’iniezione letale concludendo il tutto con 120 secondi a due cicli di 60 intervallati da 10 secondi di pausa del rumore assordante della sedia elettrica che crea uno stato d’angoscia particolarmente intenso. Lo spettacolo si conclude parlando dell’Uganda dove la comunità degli Hutu viene “costretta” ad uccidere quella dei Tutsi, di questa realtà si racconta dell’uccisione in modo macabro di un padre dei suoi tre figli e della moglie e nella scena finale parla di due ragazzi bielorussi di 26 anni giustiziati lo scorso marzo per aver commesso un attentato e lascia una frase simbolo della madre di uno dei due ragazzi che tranquillizzata dal figlio al momento dell’arresto “uscirò nel giro di 72 ore” aspetta ancora, solo idealmente purtroppo, che le 72 ore finiscano per poter riabbracciare il proprio amato figlio.
Gli applausi a fine serata sono scroscianti da parte di un pubblico che non può che rimanere colpito dalla bravura di una compagnia che usa voce, ballo, corpi mettendo in scena con lucida realtà un testo teatrale duro che rappresenta ciò che purtroppo anni di presunta civiltà non hanno ancora permesso di evitare in una porzione troppo grande di mondo.
Rudi Buset
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