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Una tragedia per anni “insabbiata”

Oggi 10 febbraio, è il giorno della memoria per ricordare le vittime e gli esuli Giuliano-Dalmati; anniversario molto sentito in questa zona e nella città di Trieste, dove tutt’oggi vivono donne e uomini non più giovani che hanno vissuto in prima persona questi tristi eventi. Il 10 Febbraio 1947 i verdetti dei trattati di pace di Parigi, seguiti alla seconda Guerra mondiale, sancivano la perdita definitiva, da parte dell’Italia,di quasi tutta la Venezia Giulia, Istria e la città dalmata di Zara, zone peraltro occupate già da 2 anni dall’esercito anglo-americano e dall’armata popolare Jugoslava, quindi l’inizio del grande Esodo. Nel maggio 1945, dopo la ritirata nazista, l’esercito popolare della Jugoslavia occupò tutta la regione Giuliana compresa la Nostra Città. L’armata alleata comandata dal generale neozelandese Ciril Fryeberg, arrivata “con calma” in città lasciò, probabilmente non del tutto casualmente, che a Trieste e nella zona circostante si compisse una “resa dei conti” nella quale persero la vita tanti nostri connazionali, gettati in un pozzo –“foiba”– nelle alture del Carso e dell’Istria, molti dei quali anche donne, bambini e innocenti non compromessi col passato regime fascista, autore in 20 anni, di  persecuzioni nei confronti degli “allogeni” (non italiani etnici) che abitavano l’Area. Questo clima di “guerra trascinata dalla Pace” continuò per circa 45 giorni, allorchè gli Anglo-Americani decisero di intervenire, lasciando, in “amministrazione militare” alla neonata Repubblica popolare federale Jugoslava, la maggior parte dei territori Istriani già appartenuti all’Italia fino al 1943 compresa le città di Fiume e Zara a maggioranza Italiana. Nel circondario di di Trieste e in una parte dell’Istria costiera, fu istituito il Territorio Libero di Trieste (TLT), comprendente, grosso modo, l’attuale provincia triestina, le cittadine di Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Buje e la Città di Pola sotto amministrazione militare Anglo-Americana. In questa zona, essendo una zona litoranea, era da sempre abitata in forte maggioranza da popolazioni che parlavano un dialetto Istro-Veneto, quindi facente parte del gruppo etnico Italiano, mentre la popolazione di lingua Slovena e Croata era la maggioranza nei contadi dell’entroterra. All’inizio dei trattati di pace in corso nella Capitale Francese era di dominio pubblico l’opinione che l’intero TLT sarebbe rimasto Italiano; ma man mano che le trattative proseguivano, crescevano sempre di più i dissapori fra il Dittatore Sovietico Stalin e il Presidente Jugoslavo Tito. Quest’ultimo, pur avendo fondato un regime socialista, non voleva finire sotto l’orbita Sovietica e per gli Alleati, per gli Inglesi soprattutto, volendo conservare un ruolo di primo piano almeno in Europa, era una ghiotta occasione per assicurarsi uno Stato, non a loro Ostile nel cuore dei Balcani e forse i territori Giuliani erano merce di scambio. IL 18 Agosto 1946 scoppiò un ordigno nella spiaggia Polesana di Vergarolla, dove persero la vita numerosi Italiani che cercavano di mettersi alle spalle i dolori della Guerra, prendendosi una giornata di svago al mare; l’attentato è stato probabilmente preparato da un gruppo di filo-jugoslavi, con le autorità alleate che non aprirono alcun inchiesta. Quasi nessuno sapeva, infatti, dei colloqui segreti fra Tito e l’ex primo ministro inglese Winston Churchill, ma a Pola si incominciava a capire la prossima sorte della città, infatti la maestra bergamasca Maria Pasquinelli, in servizio nella città Istriana attentò alla vita di un soldato inglese, esasperata dall’atteggiamento di freddezza e superiorità che questi ultimi avevano assunto nei confronti degli abitanti locali Italiani. Il 1o Febbraio 1947 le trattative erano giunte al termine: Il TLT veniva diviso in 2 zone distinte; la Zona A (Trieste e dintorni) rimaneva in mano Alleata e La zona B (Capodistria, Isola, Pirano, Buje e Umago) andava in amministrazione Jugoslava mentre Pola veniva direttamente annessa insieme al resto dell’Istria al Paese Balcanico. Oltre 300 mila persone lasciarono Pola e le  altre vicine cittadine costiere, in quanto si sentivano “stranieri in Patria”; ad essi, per conservare la cittadinanza Italiana era consentito portarsi solo alcuni bagagli, lasciando la casa natia ed altri effetti personali che furono assegnati a popolazioni slovene e croate provenienti dall’interno, e furono stipati in grosse navi alla volta di Trieste, Venezia e Ancona. Pochi mesi dopo, era ufficiale la rottura fra Stalin e Tito, con l’espulsione di quest’ultimo dal COMINFORM (organo internazionale di Paesi Comunisti prima della nascita del COMECON) e l’entrata fra i Paesi “Non allineati”. Il nostro Primo Ministro Alcide De Gasperi non riuscii a fare molto, in quanto essendo alle prese con un Paese totalmente distrutto e alla fame, non poteva inimicarsi le Potenze Alleate. Il presidente Americano Harry Truman, infatti in quei giorni, stava stanziando una serie di aiuti economici,“Il piano Marshall”, per aiutare il nostro Paese, insieme ad altri Paesi dell’Europa Occidentale alla Ricostruzione Post-bellica; e anche in ottica di una Guerra Fredda appena incominciata, con l’URSS e i suoi alleati. De Gasperi ,non avendo scelta, era costretto ad accettare tutte le condizioni imposte dai vincitori; anche se c’è chi ha pensato che lo Statista fondatore della Democrazia Cristiana si adoperò soprattutto per salvare almeno il Trentino, dove egli stesso era nato. I numerosi Istriani, Giuliani e Dalmati, furono sistemati in vari campi profughi sparsi in tutta l’Italia, non senza contrasti in quanto un treno di profughi fu assaltato alla stazione di Bologna in quanto fu riferito ai ferrovieri del Capoluogo Emiliano che il convoglio era pieno di fuggiaschi fascisti. Furono costruiti col passare degli anni dei villaggi abitati da Esuli in molte città della nostra Penisola; particolare è il caso di Fertilia frazione di Alghero in Sardegna. Questo villaggio costruito durante le bonifiche agrarie dell’Epoca Fascista e quasi totalmente abbandonato, fu popolato dagli Esuli che adottarono S.Marco come Santo Protettore, intitolarono le strade con nomi delle loro città Natali e tutt’oggi i più anziani, parlano un dialetto istro-veneto. La maggior parte degli Esuli, scelse di non allontanarsi molto dalle proprie terre affollando il campo profughi allestito nell’ex Caserma di Padriciano, alle porte di Trieste. Essi hanno dovuto vivere anche 10 anni stipati in baracche e nelle camerate del vecchio edificio militare, conducendo una vita al limite della sopravvivenza, mettendo al mondo anche dei bambini, prima di sistemarsi definitivamente nel Capoluogo Giuliano. L’esodo terminò nel 1954, momento in cui la zona A tornò all’Italia, anche se con qualche piccola “correzione territoriale” a favore della Jugolsavia, ma queste ferite sono tutt’ora aperte nel cuore di tanti che hanno subito tutto ciò e ad oggi cercano di condurre una vita tranquilla, e talvolta sono nostri vicini di casa. Per costoro non bisogna dimenticare quello che è successo, senza strumentalizzare in nessuna maniera tragedie a carattere umano, e anche alla luce di quello che sta avvenendo attualmente in molte zone del Globo.

Andrea Forliano

About Andrea Forliano

Nato a Bari il 22/05/1978,vive a Trieste,di formazione umanistica sta completando il corso di laurea in Storia indirizzo contemporaneo,è da sempre appassionato di storia,viaggi,letteratura,politica internazionale e in costante ricerca di conoscere nuove culture.Inoltre segue l'attualità,il calcio,il cinema e il teatro

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