Uno dei temi più discussi in questi ultimi decenni in Regione è la tutela, da parte delle istituzioni, del friulano. Da tempo, praticamente fin dal riconoscimento della propria autonomia, la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato miliardi di lire, prima, e milioni di euro poi per tutelare la “marelenghe”, passata a rango di lingua ufficiale già nel 1996 e riconosciuto tra le minoranze linguistiche anche dalla legge 482 del 1999 in attuazione di quanto sancito dalla Costituzione all’articolo 6 (“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”).
Toccare questo argomento rappresenta sempre una sfida ardua. Articoli che si sono espressi in modo contrario a questa linea politica sono stati spesso aspramente criticati dai friulani “convinti”, tacciati di ignoranza per l’antichissima storia che questa lingua porta con sé e che non si esaurisce come semplice dialetto. Dall’altra, i detrattori usano come loro tesi il fatto che fossilizzarsi su posizioni come “io sono friulano e parlo friulano” sono anacronistiche nel XXI secolo, in un’Italia unita che probabilmente dovrebbe investire più sulle lingue straniere che in folklore.
Certo è che chi muove le accuse, da una parte e dall’altra, non sa veramente o finge di non sapere che il friulano deriva dal Ladino, un ramo linguistico diverso da quello latino e presente da secoli in questa zona d’Europa. A studiarne le evoluzioni e ad applicarle sono stati letterati come Pietro Zorutti, Graziaddio Isaia Ascoli e Pier Paolo Pasolini, tanto per citarne alcuni. In forme diverse, attraverso saggistica e poesia, hanno fatto ricorso a quella che era prevalentemente una parlata contadina per trasformala in linguaggio elevato, disegnandone una vera grammatica e mettendone per iscritto le basi.
Quindi è giusto puntare su questo fronte, a costo di sacrificare altri fronti, soprattutto se si parla di istruzione pubblica? I soldi spesi in questo modo dalle varie giunte regionali, di tutti i colori e forme, sono sempre stati fiumi di denaro possibili grazie all’autonomia di cui il Friuli Venezia Giulia gode. E, soprattutto, i frutti di questi “investimenti” tra scuole elementari e medie si vedono molto poco: nelle ore dedicate all’ “insegnamento della lingua e cultura friulana”, infatti, ci si perde in filastrocche, disegni da colorare, rime da imparare a memoria e poco di più. Cose non strettamente legate al patrimonio culturale nostrano.
Per porre un freno a tutto ciò, e nel mucchio vanno messe anche le polemiche che saltuariamente escono tra difensori e critici del friulano, un’idea intelligente sarebbe quella di raccontare agli alunni le grandi figure legate a questi territori. Come la Percoto o Zorutti, scrittori spesso relegati a semplici vie o scuole di cui nessuno conosce la storia, o ancora Manzini e Stringher, il primo tra i padri del Codice Penale Italiano e l’altro primo Governatore della Banca d’Italia. Ma anche una protagonista della moda come Tina Modotti, un artista poliedrico come fu Pasolini (seppur nato a Bologna ma legato alla terra della madre) e moltissimi altri. Tutto ciò potrebbe essere una spinta per i giovani: scoprire i grandi del passato per inventare orizzonti nuovi. Una ricchezza che questa regione ha da vendere.