Abitando al momento in un comune del Salernitano, nel quale vi sono state le elezioni amministrative, avevo intenzione di raccontare le fasi della campagna elettorale utilizzando il titolo “al Sud la politica è una cosa seria”. Ho accantonato poi il progetto per svariati motivi, pur col rammarico di non poter raccontare una campagna elettorale vissuta da spettatore, senza troppi coinvolgimenti personali. Sono poi avvenute le elezioni in concomitanza con il trionfo renziano alle europee e il clima dell’agonè elettorale non è andato affatto scemando, come sarebbe stato logico, raggiungendo invece il proprio culmine nelle tarde ore del giorno dedicato allo spoglio, nel quale i partigiani del candidato vincitore hanno dato sfogo ai loro bollenti spiriti. Il vedere poi gli stessi continuare a provocare e ad infierire sui vinti nei giorni successivi, mi ha spinto a scrivere questo piccolo pensiero, partendo da una descrizione: due liste con i rispettivi capigruppo, un sindaco in sordina e un roboante ex sindaco che torna ringhiando alla ribalta. I candidati, divisi fra nuovi volti rampanti e vecchi pantofolai, che tappezzano la città con i loro faccioni e i loro slogan. Intorno, oltre 11000 elettori che guardano. Il punto di partenza si può individuare in un consiglio comunale di qualche settimana fa, in cui la giunta ritira il bilancio e l’ex sindaco, capogruppo di opposizione, si alza ed inizia ad insultare primo cittadino e consiglieri usando colorite espressioni in vernacolo salernitano, spingendo alcuni consiglieri di maggioranza ad abbandonare la sala consiliare ed altri ad avvicinarsi minacciosamente a lui, cosa che ha provocato di conseguenza l’intervento dei vigili che attendevano fuori dall’aula (con tanto di video finito online a documentare la truculenta scena): la reazione in rete dei sostenitori delle due parti è immediata, chi difendendo la giunta e chi sostenendo l’offensiva dell’ex sindaco. Nella mia mente ho visto un moderno remake in salsa salernitana delle campagne elettorali dei film di don Camillo e Peppone, quando gli italiani si dividevano fra PCI e DC, cioè, guardando alla lontana, fra Unione Sovietica e Stati Uniti. Anziché scambiarsi cazzotti e schiaffi di guareschiana memoria, però, le due fazioni in questione si limitano ad insultarsi vicendevolmente sui social network (anche con l’ausilio di finti profili). La campagna elettorale avanza quindi fra le classiche promesse e i moderni ashtag con le parole d’ordine dei nuovi candidati: fra comizi e contro comizi, insulti dell’uno e prese di posizione dell’altro, incontri in ogni quartiere culminati con fuochi d’artificio o con pizzette a volontà per gli astanti vi sono però anche la grettezza di alcuni, che vanno a promettere un’occupazione alle persone in difficoltà in cambio del tanto agognato voto.
Aggirandomi nei gironi danteschi di un’infernale campagna elettorale l’imbattermi nel famigerato “voto di scambio” mi ha lasciato non poco perplesso. Fenomeno a quanto pare piuttosto diffuso, non è contrastato da nessuno; sembra, anzi, una cosa normale e tollerata. Il malcapitato che si sente proporre un lavoro in cambio dei voti della propria famiglia (senza probabilmente ottenerlo, peraltro), sembra ignorare che la cosa sia un reato e in quanto tale da denunciare. Oltretutto, forse unico caso in Italia, è stato arrestato un elettore che aveva fotografato il proprio voto, con conseguente esplosione di commenti su facebook:
“era un voto per Tizio”
“no, per Caio”
“è solo una provocazione”
“è una vergogna che vendano i voti”
Insomma, è stato il caos! Senza contare il manifesto di Fratelli d’Italia/Alleanza Nazionale che invitava i suoi sostenitori a votare alle comunali i candidati del centro sinistra poiché gli obbiettivi che si prefiggevano erano collimanti con i loro (tra l’altro, costoro non sono rappresentati in territorio da una sede locale ed erano conseguentemente estranei alla lotta per il Comune).
A spogli finiti, come avevo anticipato prima, i sostenitori del vincitore si sono dati alla pazza gioia con qualche eccesso (si dice che abbiano rievocato una Piazzale Loreto utilizzando l’effigie del sindaco uscente), facendo vedere ad un osservatore esterno non tanto la contentezza per la vittoria, quanto il loro bruciare nell’attesa del momento giusto per vomitare tutto il veleno fermentato in 5 anni di opposizione, pretendendo una rassegnazione e un rispetto che loro stessi, a quanto pare, non hanno mai avuto.
Il pezzo che avevo pensato in origine, come ho già scritto, avrebbe dovuto portare il titolo “al Sud la politica è una cosa seria”, visto la passione che sembravano metterci i candidati all’inizio della campagna e facendo un confronto naturale con la politica a cui sono abituato: purtroppo il titolo ha perso tutta la sua valenza vedendo i livelli raggiunti da quelli interessati direttamente alla politica locale. Vedendo poi, in ambito nazionale, la contentezza di coloro i quali hanno detto peste e corna di Matteo Renzi fino all’altro ieri (mi riferisco a suoi compagni di partito che ora lo osannano) o la Lega Nord che riesce a prendere voti nel napoletano, il titolo sarebbe potuto cambiare in “al Sud la politica è una buffonata come nel resto d’Italia” ma sarebbe stato comunque discriminatorio trattare il sud come una parte a sé della nazione. Di conseguenza, un buon titolo potrebbe essere “la politica italiana è una buffonata”, ma apparirebbe tautologicamente lapalissiano. L’ultimo ripiego, dunque, è quello che si legge sopra. Spero con questo di non ledere od offendere la sensibilità della gente meravigliosa che abita il tartassato Sud Italia, ma se è vero il detto partenopeo che recita “il pesce puzza dalla testa” si comincia a capire cosa non funzioni. E non solo al Sud.
Simone C.