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La tratta di esseri umani, business sulla pelle degli “schiavi”

Notizie e immagini di persone in fuga dai propri Paesi riempiono quotidianamente le nostre giornate. Titoli agghiaccianti, contenenti numeri spaventosi di morti e disperati persi nel fondo del Mediterraneo, sono dovunque: giornali, televisioni, radio, web. L’opinione pubblica si divide tra chi dice “che affondino pure!” e chi invece “aiutiamoli”, mentre queste persone viaggiano per il mondo, affidandosi a mercanti di morte.

Nel 2013 erano 232 milioni, secondo i dati del Dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite, i migranti e rifugiati che avevano deciso di abbandonare la loro Terra, martoriata da guerre e miseria in molti casi, per cercare un futuro migliore. Di questi, 175 milioni sono lavoratori, ossia il 5% della forza lavorativa del pianeta (“Dossier statistico immigrazione 2014” di Centro IDOS, UNAR e Dipartimento per le Pari Opportunità). Paesi interi, quindi, che si spostano in massa verso l’Occidente delle mille speranze, per poi ritrovarsi in realtà diverse da quelle immaginate.

Solo in Friuli Venezia Giulia, sono 97.327, secondo i dati del 2013 della stessa Regione FVG, gli stranieri residenti. A fronte di qualcosa come mezzo milione di “clandestini” presenti in tutta Italia, stimati sempre nel Dossier già citato, mentre quelli regolari sono poco meno di 5 milioni: uno ogni 12 abitanti. Ma siamo sicuri che il loro spostarsi sia sempre un qualcosa di voluto da loto stessi? C’è una realtà molto più tragica di quella che viene raccontata normalmente.

Sembrava che la schiavitù fosse terminata con la guerra di Secessione alla fine dell’ 800, quando si scontrarono il Nord “liberale” e il Sud “schiavista”. Chi vinse lo sappiamo tutti, con il successivo assassinio di Lincoln perché aveva ufficializzato l’abolizione di questa pratica millenaria negli Stati Uniti. Ma in verità essa vive e anzi prospera ancora oggi, mietendo vittime in ogni angolo del mondo e trascinandole in lavori disumani, sfruttati sessualmente e privi di dignità. È la tratta di esseri umani.

Sapere con esattezza quante persone sono coinvolte in quest’incubo è impossibile, ma la Presidenza dell’Assemblea Generale dell’ONU ha tentato di dare una stima: ad aprile 2012, sarebbero 2,5 milioni gli individui strappati dalle loro case per essere venduti all’estero o all’interno dello sesso Stato, di cui 1,2 milione sono minorenni. Gente proveniente da ogni dove: Brasile, Est Europa, Paesi arabi, Sud America e molti altri. Dove c’è miseria, malessere, o semplicemente insoddisfazione per la propria vita, lì si annidano i trafficanti.

Secondo il Protocollo di Palermo, accordo firmato da vari Paesi nel 2000 e in vigore dal 2003, “la tratta (…) è un crimine internazionale (…), definito (…) come l’attività di reclutamento e trasferimento illecito di persone da un paese all’altro o all’interno dello stesso paese mediante l’uso di violenza, minacce e coercizione al fine di sottometterle e sfruttarne l’attività sessuale o lavorativa, l’accattonaggio o attività illecite”, come riporta un report sull’argomento, redatto dalla Caritas Diocesana di Udine. In Europa, oltre al documento già citato, è in vigore anche la Convenzione di Vienna, che permette alle vittime di non essere rimpatriate e ne tutela la vita privata.

Per rompere la catena disumana che regge la tratta bisogna attivarsi nel proprio piccolo. Denunciare casi sospetti, anche in forma anonima, è un primo passo per combattere questo racket mafioso e abominevole. Altrimenti tutti gli slogan di libertà e pace che sentiamo pronunciare e condividiamo saranno solo parole buttate, rendendoci schiavi noi stessi del non voler aprire gli occhi.

Timothy Dissegna

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