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Al teatro BELLINI DI NAPOLI “Bordello di mare con città” dal 25 ott. AL 6 NOV.
BORDELLO COSTRUIZIONE SECONDO ATTO

Al teatro BELLINI DI NAPOLI “Bordello di mare con città” dal 25 ott. AL 6 NOV.

 

“Ecco io nun ‘o saccio si a morte, la visione della morte, può qualcosa dint a capa nostra, se muove se accende…qualche luce, nu rimorso, che saccio? Na specie ‘e pentimento, desiderio di riscatto…”

La locandina

La locandina

Napoli. “Bordello di mare con città” dal 25 ottobre al 6 novembre 2016 al Teatro Bellini in coproduzione tra Elledieffe (la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo diretta da Carolina Rosi) e Teatro Elicantropo.

“Adesso da qualche parte sta entrando molto fumo, molta polvere. Avranno appiccato il fuoco da qualche parte…i facinorosi…gli scalmanati…che la fanno da padrone …nell’assenza di qualunque protezione…”. Enzo Moscato nelle proprie vesti interpreta la serafica giornalista prevista nel testo di cui fu autore 30 anni fa dopo la morte di Ruccello. Lo scrittore è ai margini, narratore in una modalità affettiva che ricorda Hitchcock, apre e chiude il dramma svolto nell’ex casa chiusa che rappresenta la Napoli degli anni ’80, o semplicemente un certo degrado morale adattabile in modo universale all’umanità tutta, poiché da sempre “l’ambizione è un mostro sterile che però riesce a partorire”.

Le atmosfere simboliche e i versi musicali di Paolo Coletta sembrano chiedere allo spettatore se i fatti di sangue, gli scandali o i miracoli, abbiano davvero una data di inizio e di fine nel tempo storico mai delineato nelle scene di Roberto Crea.

Fra le luci di Cesare Accetta, i costumi di Alessandro Ciammarughi vestono il fior fiore delle interpreti: Imma Villa (Titina) e Fulvia Carotenuto (Assunta) duellano gigantesche, accompagnate degnamente da Cristina Donadio (Madamina), Ivana Maglione (Cleò), Sefora Russo (Betti) e Lello Serao (Il Cardianale).

Prosa e poesia di una emorragia luttuosa. Tormento consapevole che

CarloCerciello_EnzoMoscato_FotoAndreaFalasconi

CarloCerciello_EnzoMoscato_FotoAndreaFalasconi

solo la regia di Cerciello avrebbe potuto bilanciare. Il suo inconfondibile stile riesce, infatti, ad intersecare la narrazione tradizionale del primo atto con l’ “oratorio in fiamme” del secondo. La sterzata drammaturgica è forte. La “contrapposizione tra eros e sangue” (cit. Teatro e poesia in Enzo Moscato, di Fabrizia Ramondino) è simboleggiata, personificata e maledetta dal grottesco Cardinale quasi ex-posto alla vendetta di Assunta. Come evacuato dal feretro bianco di Betti, l’orco brama ancora nei versi “Lasciatemi nudo nella mia dannazione! Non allontanate le fiamme da me, dalla mia carne!”.

La partitura diviene rituale, confini di voci che si fanno corpo, volutamente senza una vera disperazione, per colei che “è caduta nel sonno del destino”. Il parossismo raggiunge l’apice nell’ esclusiva autenticità del monologo che da solo vale tutto: “Pecchè l’hai fatt, Assunta? Pecchè m’è dato a chiagnere senza più na lacrima? Nun ero forse na madre pure io…?”. L’assolo della Villa, sviscera, inonda, piega a sé la grafia teatrale del dramma. È l’apice, il climax, è il mare in tempesta. “Rivoglio mia figlia e tutto il latte che l’aggio dato!”. Le ex signurine, svelano i loro segreti tragici con la contrazione estetica di una rappresentazione ibrida nel suo genere. La città è fuori che preme, ma i personaggi di Titina e Assunta hanno avuto una evoluzione tale da portare il furore scenico ad un bivio: spingere il patos fino all’estremo oppure rallentare, allontanare, in un chiaro-scuro pirandelliano. La scelta è di zoom – mare sul quadro etico di chi implora una logica “Pecché, io per prima, devo pagare?Quando abbascio pe’ vie, nu mar ‘e disonesti, nu mare ‘e delinquenti, ‘e criminali, nu mare ‘e Senza Dio, ‘e Senza Niente, manco o principio d’o dolore cunòscene, e allàgano, distùieno, fanno peggio do Diluvio, pecché?!”.

Dalla corrispondente Anita Laudando

 

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