INCONTRI
il 12 gennaio, al termine dello spettacolo, Davide Enia incontra il pubblico. Conduce Rita Maffei
L’Abisso è fatto di una materia varia e viva, tesa e emozionante, per fondere il racconto puro di uno dei migliori cantori teatrali agli antichi canti dei pescatori, al cunto palermitano, dove l’elemento epico dallo scontro tra i paladini si sposta a un nuovo campo di battaglia: il mare aperto.
Davide Enia di sbarchi a Lampedusa ormai ne ha visti molti. E di testimoni diretti di quanto succede su quella frontiera di acqua ne ha ascoltati anche di più: i pescatori e il personale della Guardia Costiera, gli operatori medici e i lampedusani, i volontari e le persone sbarcate sull’isola.
“Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa. A guadagnare la terra erano in tantissimi, ragazzini e bambine per lo più. Stravolti, stanchissimi, confusi, erano cinquecentoventitre persone sottratte alla morte in mare aperto. Con me c’era mio padre quel giorno. Assistemmo assieme a qualcosa di smisurato: era la Storia ciò che stava accadendo davanti ai nostri occhi.
La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole di film e documentari. La Storia che anima i dibattiti e determina il corso degli eventi. Vederla accadere mi aveva lasciato completamente senza parole. Nella messa in scena usiamo diversi registri del linguaggio teatrale, quanto sta accadendo è ancora troppo gigantesco per essere contenuto in una forma unica. Con Giulio Barocchieri abbiamo lavorato sugli antichi canti dei pescatori, intonati lungo le rotte tra Sicilia e Africa, sulle melodie a più voci che si intrecciano senza sosta fino a diventano preghiere cariche di rabbia quando il mare ruggisce e nelle reti, assieme al pescato, si ritrovano sistematicamente i cadaveri di uomini, donne, piccirìddi.
Abbiamo lavorato sul cunto palermitano, spostando l’elemento epico dallo scontro tra i paladini a un nuovo campo di battaglia: il mare aperto, quando il salvataggio è una questione di secondi, le manovre sono al limite dell’azzardo, la velocità di scelta determina tutto quanto e risalta ancora di più come condizione necessaria il sottoporsi quotidianamente a un allenamento costante sulla terraferma, per riuscire a recuperare più corpi vivi in mare, per sopravvivere in prima persona alla forza delle onde. Abbiamo lavorato sull’interpretazione attoriale, quando le parole dei testimoni da me incontrati si fanno carne e consentono l’epifania del personaggio.
E poi c’è il racconto puro, in cui intimità e storia si rincorrono fino a sovrapporsi. È una riflessione, figlia del lavoro sul campo, su quanto sta accadendo, per riportare con urgenza nello spazio condiviso del teatro il tempo presente e la sua crisi. Il teatro, quindi, come luogo di confronto e di rinegoziazione dei giudizi.
Quanto si sta verificando a Lampedusa non è soltanto il punto di incontro tra geografie e culture differenti, è proprio un ponte tra periodi storici diversi, il mondo come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e quello che sarà domani. Sta cambiando tutto. È da più di un quarto di secolo che accade.”
Davide Enia
“Chi approda è uno specchio, dentro cui risiede la risposta a una semplice, definitiva domanda: «noi chi siamo?». Noi siamo la risposta a questa domanda.
Nello sguardo di questi esseri umani è riflessa l’immagine di noi stessi, di chi abbiamo deciso di diventare”.