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il Visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, di scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine

Un dialogo sapiente che fonde la disputa filosofica all’introspezione religiosa: il Visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, di scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine dal 9 all’11 gennaio, è un viaggio scenico che si trasforma in una riflessione personale dove è l’immedesimazione a farne da padrona.

L’antefatto narrativo: durante l’annessione dell’Austria ad opera delle forze naziste, Vienna è luogo di scontri e persecuzioni. In Berggestrasse 19 lo studio di Sigmund Freud, un coinvolgente Alessandro Haber, in pensiero per la vita della figlia Anna (Nicoletta Robello Bracciforti), alla mercé di un arrogante ufficiale della Gestapo (Alessandro Tedeschi). A rompere l’ansiogena attesa un visitatore, interpretazione superlativa di Alessio Boni. Sulla sua identità si dibatte a lungo, potendosi trattare di Dio o solo di un pazzo che vuole farlo credere.

E tuttavia questo diventa il trampolino per lasciarsi alle spalle i convenevoli d’obbligo e inoltrarsi in una conversazione sui massimi sistemi. L’ateismo del padre della psicanalisi si infrange contro le apparentemente indubbie dimostrazioni di sé dell’ospite, in un vortice di incredulo convincimento e beffarda disillusione. Le prove ci sono, eppure non ci sono; quel visitatore potrebbe essere Dio, eppure potrebbe essere solo un folle.

Il dubbio diventa protagonista, annebbiando Freud come lo spettatore. Incertezza che accompagna entrambi fino all’ultimo, nella totale mancanza di risposte, motivo indispensabile per una presa di posizione.

La rappresentazione, per la regia di Valerio Binasco, offre la possibilità di esprimersi su questioni spesso tralasciate, ma che qui, grazie alla freschezza del linguaggio e alla chiarezza lapidaria delle rispettive posizioni, si presentano a portata di pensiero. Bene e male, scienza e religione, ragione e sentimento si alternano in un valzer di formidabile schiettezza (bipolarismo reso oltretutto da alcune scelte scenografiche), costringendoci a scegliere, o almeno a provarci.

 Gabriele Franco

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