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“Stanze” di Ulderica Da Pozzo a Palmanova dona colore al passato

L’ingresso della Polveriera Garzoni di Palmanova, luogo che da anni ospita installazioni e mostre dei più svariati artisti, potrebbe essere uno dei soggetti delle foto di Ulderica Da Pozzo.

Entrandovi, infatti, si viene subito colpiti dal grande spazio bianco e vuoto che prolunga per diversi metri, dividendo le due porte agli estremi dell’edificio: come negli scatti della fotografa carnica, che proprio qui ha esposto dal 6 marzo fino a ieri. Si crea così un effetto matriosca: la stanza che contiene al suo interno altri spazi, come un lunghissimo corridoio senza fine.

E proprio “Stanze” era il titolo della mostra, l’ultimo lavoro della celebre fotografa di Ravascleto che esporrà alcune sue opere addirittura a EXPO Milano 2015, insieme ad altri colleghi italiani, provenienti da ogni regione. Tra quelle ci saranno anche due esposte nella città stellata, ci racconta la stessa Da Pozzo, presente alla Polveriera nel pomeriggio di Pasquetta, anche se avrebbe voluto presentarle tutte.

L’artista ha scelto questa volta di raccontare i luoghi abbandonati dall’uomo, isole di passato immerse nel degrado del tempo che fugge. Rimanendo ancorata al tema della memoria, che segna come un filo rosso la sua carriera, partendo dai ritratti in bianco e nero degli abitanti della Carnia, sua terra natale.

Questa volta, però, spazio al colore: perché come scrive Roberta Valtorta, direttrice scientifica del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano, nella presentazione della stessa mostra organizzata a Roma nel 2013: “Abbiamo associato il bianco e nero al passato semplicemente perché la fotografia (…) per motivi tecnici è stata a lungo priva di colori (…)”. Per cui la storia, di ognuno di noi, non è per definizione acromatica: “Le stanze di Ulderica Da Pozzo sono come ricordi richiamati alla sua e nostra attenzione: parlano di qualcosa che non c’è più e sono a colori”.

Osservando gli scatti, alcuni posti perfino a terra, si ammirano schegge di vita interrotta, finita, immersa in stanze abbandonate ma che conservano ancora qualcosa da dire. Come se gli avvenimenti stessi avessero deciso la loro posizione, la Da Pozzo ha immortalato gli oggetti trovati in vecchi edifici diroccati (case, caserme, ecc…) senza minimamente modificarli: la storia ha stabilito dove dovevano rimanere per tutto quel tempo, fino a quando una macchina fotografica fosse giunta lì per loro.

È un realismo umano e delicato nella sua profondità quello che emerge da queste foto. Soggette a mille interpretazioni, ogni immagine racchiude in sé un mondo che lo spettatore sente proprio ma al tempo stesso lontano, perso nelle rughe del tempo. Le luci baciano il legno ormai marcio, la polvere ricopre i pavimenti, bici ridotte a ferri vecchi giacciono immobili: sono le scorie del progresso, macchina inarrestabile che investe l’uomo in ogni sua forma. Ma lui gli può resistere, almeno per un po’: riflettendo su cosa sta lasciando dietro di sé.

About Timothy Dissegna

Diplomato nel 2015 al liceo Scienze Umane "Uccellis" di Udine, nasce giornalisticamente parlando dalle pagine del Messaggero Veneto Scuola. Diventa arbitro di calcio a fine 2012 e qualche anno dopo inizia a collaborare con diversi siti online, guardando con estremo interesse al sociale. Ha una penna nel cuore, ecco.

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