Ieri 17 marzo ricorreva la festa di S.Patrizio, una festa molto sentita nella Repubblica d’Irlanda e un pò ovunque, ma non bisogna dimenticarsi che ieri, esattamente 154 anni fà si riuniva a Torino il primo parlamento dell’Italia Unitaria. Sull’Unità d’Italia e sul processo risorgimentale che ha portato ad essa se ne è parlato molto, sia sui giornali, sui libri, a scuola e non troviamo una città nel nostro Paese che non abbia una strada intestata a Garibaldi, Cavour, Mazzini o a Vittorio Emanuele II, ma spesso si sentono dire cose non molto dissimili tra loro e si sente parlare di presunti eroi e patrioti. L’Italia, ormai da secoli era divisa in tanti piccoli stati e la quasi totalità della popolazione si è sempre sentita legata al proprio microcosmo, appunto il Campanile. Il cosiddetto Risorgimento è nato dopo la restaurazione conseguente al congresso di Vienna del 1815; la nostra patria era da poco stata sottomessa ed occupata dalle truppe Napoleoniche. Esse, oltre ad aver saccheggiato gran parte dei nostri beni artistici, imposto le loro regole e leggi, fondando gli stati satelliti come il regno d’Italia a Nord e il regno di Napoli a Sud e ponendo sotto il diretto controllo di Parigi, Il Piemonte, la Liguria, la Toscana e Roma, avevano fatto diffuso le idee di patriottismo e giacobinismo della nota rivoluzione in atto in Francia dal 1789 al 1795. Queste idee erano state fatte proprie da alcuni intellettuali italiani e negli stessi anni era nata la Massoneria internazionale, una serie di sette (logge) collegate l’un l’altra al fine di togliere il potere e i privilegi ai nobili in favore di una forma di governo liberare Borghese, e in Italia vi era presente la Carboneria. I “Carbonari”, come Ciro Menotti e Silvio Pellico, furono i protagonisti dei primi moti rivoluzionari del 1820-21, mentre i repubblicani come Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Domenico Guerrazzi, Carlo Cattaneo, Niccolò Tommaseo furono gli ideatori delle rivoluzioni del 1848-49,(la Repubblica Romana, la Repubblica di S.Marco, le 5 giornate di Milano) entrambe fallite in quanto l’Impero Asburgico non voleva perdere la propria egemonia nella Penisola, ma erano rivolte per dare costituzioni democratiche e repubblicane nei vari stati Italiani mentre pochi, come Garibaldi e Mazzini pensavano a un’ Unità Nazionale. Siamo appena entrati nella seconda metà del 1800 e il nostro Paese era diventato un caso “Internazionale”; in Francia era appena salito al potere Luigi Napoleone Bonaparte, diventato imperatore Napoleone III e sognava di imitare le” gesta” dell’illustre Zio anche in Italia. L’Inghilterra , dal canto suo, massima potenza economica mondiale dell’epoca aveva delle mire sulle miniere di zolfo siciliane e su vari punti strategici presenti nel Regno delle 2 Sicilie e di fronte al netto rifiuto di una “collaborazione” del Re Ferdinando II, il primo ministro Gladstone pubblicò le famose lettere in cui denunciava le disastrose condizioni in cui versava il regno Borbonico, simile a un stato africano. Inghilterra e Francia, dopo anni di battaglie reciproche, erano unite nel sostituirsi agli Austriaci nel controllo della Penisola, ma apparendo al popolo ingenuo, come portatori di democrazia contro l’oppressore austriaco. L’impero britannico mirava soprattutto a un controllo dal punto di vista economico, Napoleone III sognava un stato Italiano come una specie di Protettorato Francese. Nel Regno di Sardegna, l’unico ad avere una costituzione lo “statuto Albertino”, e soprattutto l’unico a non avere legami diretti o indiretti con gli Asburgo era diventato Re Vittorio Emanuele, e primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, un liberale probabilmente legato alla massoneria Internazionale, che negli ultimi tempi si era trasformata in una longa manus del potere economico Inglese. Egli capendo che col favore internazionale poteva allargare a tutta la Penisola il potere di Casa Savoia, inviò 18.000 soldati in Crimea, che combatterono insieme agli Inglesi e ai francesi intervenuti lì per sostenere l’impero Ottomano contro la Russia e l’Austria, le quali furono sconfitte anche grazie all’aiuto dei soldati sabaudi nella battaglia della Cernaia del 1856. Cavour forte dell’appoggio internazionale, concluse gli accordi di Plombieres nel 1858 con Napoleone III che avevano come fine la cacciata degli Austriaci dal nostro Paese, uno stato unitario italiano retto dai Savoia, il passaggio della contea di Nizza (popolata quasi esclusivamente da popolazione di Lingua Italiana) e della regione della Savoia alla Francia, ma la salvaguardia del potere del Papa Pio IX. L’anno seguente, a causa di scontri al confine i sabaudi con l’aiuto dei francesi conquistarono la Lombardia, grazie alle vittorie di Solferino e S.Martino, Curtatone e Montanara ma andarono oltre annettendosi il Granducato di Toscana, i ducati di Parma e Modena e quasi tutto lo stato pontificio eccetto il Lazio, con la battaglia di Castelfidardo. Questo non andava più bene all’imperatore dei francesi, che si era eretto a difensore della cristianità e del pontefice e concluse con gli austriaci la pace di Villafranca lasciando loro il Veneto e il mantovano (mentre nella Contea di Nizza era in atto un processo di francesizzazione forzata non incruento). Nel regno delle 2 Sicilie, intanto, era morto l’energico Ferdinando II e gli era succeduto il debole e fatalista figlio Francesco II detto “Franceschiello”; egli cercò di modernizzare l’amministrazione del Regno, ripristinando la costituzione che il padre aveva redatto ma subito ritirata nel 1848. Egli commise però un grave errore; affidò il ministero degli interni a Liborio Romano, uomo di dubbia fede, legato alla massoneria e probabilmente agli interessi dei britannici e a Cavour stesso; Romano diede subito inizio a un ambiguo lavoro nella pubblica amministrazione e nelle file dell’esercito. Nel maggio del 1860 partiva dallo scoglio di Quarto, presso Genova, la “Celebre” spedizione dei “Mille” comandata dall’idelista Generale Garibaldi, che agendo in buona fede, sbarcò a Marsala indisturbato, sconfisse a Calatafimi un’armata corrotta, assunse la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II arrivando in autunno a Napoli con tanti onori e illusioni popolari. Gran parte delle masse popolari si era unita a lui, nel sogno della repubblica, nel sogno di una giusta redistribuzione fondiaria contro i continui abusi dei Baroni locali e taluni per avere l’amnistia (promessa dallo stesso Garibaldi) su piccoli reati commessi per reazione alle ripetute ingiustizie dei Latifondisti. Il 17 marzo 1861, si riuniva, per l’appunto, il primo parlamento Italiano a Torino, scelta come capitale provvisoria del Regno e Vittorio Emanuele II già re di Sardegna si proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia per grazia di Dio e volontà del popolo, non Vittorio Emanuele I Re degli Italiani, come giustamente auspicava una parte del parlamento, ma i problemi erano ancora tanti. Al Sud Garibaldi era stato congedato e mandato nell’Isola di Caprera, “dono” del Re per le sue Imprese, e i volontari che lo avevano seguito, trovando un Re al posto di un’altro Re e gli stessi Baroni e Proprietari Terrieri allo stesso posto con la croce sabauda anziché i gigli Borbonici sulle mostrine, si diedero alla macchia come altri soldati rimasti fedeli a Re Franceschiello (che provava a resistere nella piazzaforte di Gaeta). Essi comandati da Carmine Crocco e Ninco Nanco dettero inizio a una vera e propria rivolta appoggiata dallo stesso Francesco II e in un primo momento dalla Spagna e da Papa Pio IX; dopo alcuni successi iniziali la rivolta fu repressa nel sangue dal Generale Enrico Cialdini il quale appellava come selvaggi i Fratelli Meridionali d’Italia. Il Veneto rimasto agli austriaci, passò sotto il tricolore Italiano dopo la sconfitta dell’armata asburgica a Sadowa nel 1866 ad opera della Prussia. Le truppe Italiane per la prima volta unificate ma ancora lontane dalla reciproca fiducia, si erano alleati al potente esercito Prussiano ma avevano riportato schiaccianti sconfitte a Custoza e sul mare a Lissa(Vis), unica vittoria fu riportata da Garibaldi alla guida dei “Cacciatori delle Alpi” a Bezzecca ma ricevuto il dispaccio dal Re di non andare oltre, rispose col celebre “Obbedisco”. La Capitale era stata spostata a Firenze per iniziativa del Primo Ministro Urbano Rattazzi (Cavour era morto nel giugno 1861 a causa di una malattia) nel 1864, in quanto più centrale della periferica Torino, ma il vero obbiettivo era Roma, ancora sede dello stato Pontificio, presidiata dalle truppe Francesi, ripeto, auto-erettisi a difensori della cristianità con Napoleone III che si intrometteva non poco negli Affari Interni del Nostro Paese. Il solito Garibaldi cercò di arrivare a Roma 2 volte, venendo ferito dalle stesse truppe italiane in Aspromonte (Le quali non volevano inimicarsi il Potente “Alleato”d’oltralpe) e sconfitto dai Francesi a Mentana nel 1867. Napoleone III e i suoi soldati abbandonarono il Lazio solo nel Settembre 1870, quando il Feldmaresciallo Prussiano Von Motke era quasi alle porte di Parigi, e i nostri Bersaglieri guidati dal Generale Raffaele Cadorna, poterono entrare in Roma attraverso la breccia di Porta Pia, con Pio IX che si ritirava offeso, nei palazzi del Vaticano. Il risorgimento era concluso, ma nuove grane erano alle porte, come la Questione Romana, la Questione Meridionali e tanti altri problemi ad oggi non ancora del tutto risolti.
Andrea Forliano