Il viaggio è la metafora della vita. Partiamo sempre da un punto per raggiungere una meta ma se non ci fermiamo un attimo, anche poche volte, per guardarci attorno non capiremo mai chi siamo e chi stiamo diventando. Vi proponiamo la prima, e speriamo non l’ultima, lettera di una studentessa, di una giovane donna che da sola è partita…
Evito di dire chi sono e cosa faccio nella vita, racconterò solo qualche flash, qualche immagine, qualche pensiero che mi sono passati nella mente in questi miei periodi di esilio volontario in quel di Parigi. Decido tra mille dubbi di provarci, di cambiare, di vedere come posso trovarmi lontana dalle mie sicurezze e dalla mia routine. Così invio la domanda Erasmus, senza conoscere la lingua e senza troppa convinzione. Mi trovo poi a capire che questo tuffo per me è fondamentale, una sfida, un tentativo, una necessità. I motivi son troppo personali, e forse non li conosco bene fino in fondo nemmeno io.
Parto dopo aver fatto una preparazione alquanto misera, parto e basta.Arrivo con il solito piglio spavaldo che per fortuna/purtroppo mi contraddistingue, ma poco dopo mi rendo conto che qui non è come nella cara, amata, provinciale terra friulana, qui si sale in metropolita e si è tutti insieme, tutti vicini, tra gli odori diversi di ciascuno di noi.
Non sono niente e nessuno, sono una tra tanti in metropolitana.Tutti insieme stiamo facendo un viaggio verso una stazione, per poi cambiare direzione, ognuno per la sua strada. Io, con la valigia, sono la tipica turista spaesata. Nessuno sa, tra coloro che siedono nei sedili impregnati del metrò, che in questa città ci abiterò. Certo, parigina non lo sono per niente. Basta notare come tengo la borsa stretta a me, per paura degli scippi, o come ad ogni fermata cerco di leggere il nome della stazione. No, non ho nulla di parigino.
I parigini li vedi, chi con la borsa della spesa, chi in giacca e cravatta che torna dal lavoro, chi con lo zaino e i jeans stretti uscito dall’università, chi con una birra in mano e il sacco a pelo per dormire chissà dove, hanno tutti lo sguardo altrove. Non si guardano, non si chiedono (come faccio io) quale tra questi tenterà di fregarmi il portafogli…perché sanno dove sono e dove stanno andando.
Beh, magari avrei dovuto parlare dello squarcio mozza-fiato che mi si schiude davanti agli occhi dalla finestra del mio appartamento, oppure della baguette al prosciutto imburrata all’inverosimile (addio linea!), o anche di come è bella Montmartre verso sera, con i suonatori che ti dedicano le canzoni così, senza voler un soldo in cambio, ma solo perché si trovano nel quartiere dell’Arte. Eppure ciò che mi ha colpito di più per ora è la metropolitana, tutti insieme, senza distinzioni, chi da una parte chi da un’altra, ma pur sempre condividendo lo stesso tragitto.
Questo è quanto di più democratico mi venga in mente.
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