Rotonda dell’Architetto Galli di Muky
via delle Maioliche angolo piazza 2 giugno, Faenza
Antò, Antonia Campi e Antonella Ravagli, 1911/1916
Nella parte “aerea” del Belvedere, è ordinata un’articolata serie di opere realizzate “a quattro mani” da Antonia Campi (storica ceramista, classe 1921), e Antonella Ravagli (importante artista faentina, classe 1963) che hanno condiviso il loro percorso con l’acronimo Antò.
Dopo il loro prestigioso primo lavoro del 2011, un pannello di 3 metri x 5 per i 150 anni dell’Unità d’Italia (Palazzo di Montecitorio), sono seguiti gli svettanti “totem” (2012, Palazzo Sertoli, Sondrio) e le “colonne” (2015) per il Concorso Internazionale della Ceramica di Faenza. Esposti pezzi unici e “di serie”: i “libri”, espressamente voluti da Campi per raccogliere le lettere intagliate di Ravagli; i “medaglioni” (di diverse altezze, riuniti come uno spartito musicale); i “quadri/tappeto”, che sposano le cornici della ceramista faentina agli storici collage tessili o materici di Campi. E, ancora, le “scatole” e i “fiori”, destinati sia alla costituzione di un’installazione/prato che a essere centrotavola, un grezzo unico stampo su cui le Antò possono intervenire a piacimento. A chiudere le ricerche con i ceramici avanzati.
ATTILIO QUINTILI: OFF-WHITE – BIANCO SPORCO
Un “viaggio nel mistero della materia”, nei cunicoli sotterranei intorno alle fondamenta della “ghiacciaia”, dove si scopre la motivazione del titolo dell’evento: bianca la porcellana “sporcata” dagli effetti dell’esplosione, il traumatico processo cui il ceramista umbro (già molto noto per la particolarità delle “sculture esplose”), la “spinge”, ottenendo un insospettato risultato; bianco ormai consunto l’intonaco dell’ipogeo. Aggirato il Belvedere, ecco la discesa: nella prima nicchia, la dea Iside, ovunque presente, una “nera” esplosione (un unicum), che ci racconta quasi il percorso precedente di Quintili. Si continua a scendere: altre nicchie e la “stanza del bianco” (sporco). Intrigante la serie di “esplosioni bianche” in porcellana, appese e collocate per terra, magicamente illuminate. Infine una porta “chiusa”, simbolica. E si risale, per uscire. Bianco Sporco è la metafora di un cammino di purificazione, cui la materia allude e ambisce proprio nel senso del processo interno alla forma e, in questo caso, alla sede espositiva.