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Analisi del film Profondo Rosso, del 1975, di Dario Argento, seguendo lo schema del Viaggio dell’Eroe di Christofer Vogler

Analisi del film Profondo Rosso, del 1975, di Dario Argento, seguendo lo schema del Viaggio dell’Eroe di Christofer Vogler

Profondo Rosso

L’eroe di Profondo Rosso: Marc Daly (David Hemmings)

Premessa: il viaggio dell’Eroe di Christofer Vogler

Nel suo libro Il Viaggio dell’Eroe – La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema, Christofer Vogler suggerisce che alla base di ogni narrazione sarebbe possibile individuare una struttura modulare profonda, articolata in fasi successive, che costituirebbe un bagaglio comune a tutta l’umanità, che verrebbe declinata nelle varie culture in maniera differente solo a livello superficiale.

Una teoria che si rifà al concetto di archetipi universali di Carl Jung, e che si è ispirata ai concetti proposti da Joseph Campbell nel suo famoso libro L’Eroe dai Mille Volti.

Analogamente a quanto proposto da Vladimir Propp, nel suo lavoro Morfologia della Fiaba, secondo Vogler le storie sono popolate da personaggi che svolgono varie funzioni, necessarie allo scorrere della narrazione.

Abbiamo quindi l’eroe alla ricerca di sé stesso e bramoso di aiutare gli altri, supportato dagli aiutanti, il messaggero che lo chiama all’avventura, il mentore che lo aiuta nel suo difficile percorso, i guardiani della soglia che mettono ostacoli sul suo cammino, le ombre (i super-cattivi) che provano in tutti modi a distruggerlo, gli shapeshifter che li disorientano, i trickster che movimentano l’azione e aggiungono ironia alla narrazione. Da notare che lo stesso personaggio in una narrazione può personificare diverse funzioni narrative.

Per quanto riguarda la struttura profonda della narrazione, Vogler propone una successione dodici fasi canoniche:

  1. L’eroe viene presentato nel suo mondo ordinario,
  2. nel quale riceve la chiamata all’avventura da parte di un messaggero.
  3. L’eroe all’inizio rifiuta la chiamata,
  4. ma poi incontra il mentore,
  5. che lo motiva a superare la prima soglia, entrando nel mondo straordinario.
  6. Qui comincia a imparare le regole che governano la nuova realtà affrontando prove, alleati e nemici,
  7. quindi procede verso la caverna più profonda, dove si annida il pericolo più grave, rappresentato dall’ombra,
  8. e in questo luogo affronta la prova centrale, nel quale rischia la propria vita.
  9. Dopo avere ricevuto la ricompensa,
  10. viene in genere inseguito dall’ombra nella via del ritorno verso il suo mondo ordinario.
  11. Deve superare una seconda prova mortale, la resurrezione,
  12. prima di potere tornare con l’elisir nel mondo ordinario.

Riassumendo, l’eroe viene chiamato all’avventura al di fuori del suo mondo ordinario, e deve affrontare l’ignoto nel mondo straordinario, nel quale impegna tutto sé stesso per sopravvivere alle prove mortali che lo attendono, per dimostrare di meritarsi il ritorno al suo mondo ordinario, portando con sé un valore aggiunto anche per la collettività alla quale appartiene.

È possibile individuare questa struttura anche nella storia raccontata da Profondo Rosso, film cult del 1975 di Dario Argento.

Gianna Brezzi aka Daria Nicolodi

Gianna Brezzi (Daria Nicolodi): la shapeshifter della storia

Analisi di Profondo Rosso dal punto di vista del Viaggio dell’Eroe di Christofer Vogler

Dopo i titoli di testa, accompagnati da uno splendido e conturbante pezzo dei Goblin, ci viene mostrato un efferato delitto, che avviene in una stanza addobbata per il natale, mentre risuona una filastrocca per bambini. Il punto di vista è molto ristretto: si vedono l’ombra dell’omicida, nell’atto di sferrare delle pugnalate, poi un coltello insanguinato che cade per terra, subito raggiunto da un bambino, del quale possiamo possiamo vedere solo le scarpe lucide e i calzini bianchi, alti fino quasi al ginocchio.

Dopo questo inquietante preambolo, viene introdotto il protagonista del film, Marc Daly (David Hemmings), il nostro eroe, che ci viene mostrato nel suo mondo ordinario, in una scena nella quale lo vediamo insegnare musica jazz.

Assistiamo poi a un congresso sul paranormale, che avviene in uno splendido teatro drappeggiato di rosso, nella quale un professore (Glauco Mauri) presenta al pubblico la telepate Helga Ulmann (Macha Mérill), capace di captare “fatti che accadono, o che sono accaduti, ma niente di ciò che dovrà accadere”, sentire “pensieri nel momento in cui nascono”, e “anche molto tempo dopo, perché sono talmente forti che rimangono attaccati negli ambienti, come solide ragnatele”. Helga percepisce la presenza in sala di una persona perversa, che ha giù ucciso in passato e che ucciderà ancora, visualizzando anche una scena di omicidio in una villa, accompagnata da un canto infantile.

Un’inquadratura in soggettiva ci fa capire che l’omicida (l’ombra della narrazione) esce dalla sala e si reca nel bagno, dove sentiamo i suoi conati di vomito e vediamo le sue mani indossare dei guanti neri, dopo avere ignorato l’offerta di aiuto di un’altra persona. Quindi assistiamo alla soggettiva del misterioso individuo che scruta da dietro una colonna la telepate mentre esce dal teatro, accompagnata dal professore, a cui confida di sapere il nome dell’assassino.

La splendida inquadratura successiva, effettuata con una telecamera snorkel, indugia su una serie di oggetti infantili, per posarsi poi su due coltelli, il tutto accompagnato dallo stesso brano dei Goblin dei titoli di testa. Vediamo un occhio che viene truccato.

La scena si sposta poi nell’appartamento di Helga, mentre conversa in tedesco al telefono. Una canzoncina che proviene dall’esterno attrae la sua attenzione. È la stessa filastrocca che si sentiva durante la scena dell’efferato omicidio all’inizio del film. Suona il campanello, e la telepate apre incautamente la porta, ma viene abbattuta da un colpo d’accetta. Vediamo in soggettiva che l’omicida si appropria delle carte della povera Helga.

Ci troviamo quindi nella magnifica e deserta Piazza CLN di Torino, dove Marc incontra il suo amico Carlo (Gabriele Lavia), ubriaco disfatto ai bordi di una fontana, che in quel momento personifica la funzione di trickster. Anch’egli è un artista, e suona nel Blue Bar, locale le cui vetrate si aprono sulla piazza. Mentre aiuta l’amico a rientrare nel luogo di lavoro, sente un urlo inumano. Guarda in alto e assiste all’omicidio di Helga, che riceve il colpo d’accetta finale mentre è schiacciata sul vetro di una finestra del suo appartamento, che guarda alla piazza. Di fatto la povera telepate assolve alla funzione narrativa di messaggero, in quanto chiama l’eroe all’azione.

Marc accetta immediatamente la chiamata all’avventura, precipitandosi subito nell’alloggio di Helga, realizzando in tal modo il superamento della prima soglia. Ma ormai per la telepate non c’è più niente da fare. Comincia quindi subito la fase delle prove, alleati e nemici.

Vede dalla finestra una figura, che indossa un impermeabile e un cappello scuro, la stessa che poco primo ha visto colpire alle spalle la povera Helga, che si allontana dal palazzo, passando davanti a Carlo, che barcolla fuori dal Blue Bar. Arriva la polizia. Il commissario Calcabrini (Eros Pagni) ha un modo di fare alquanto cialtronesco, e dà buoni motivi a Marc per pensare di essere un sospettato. Si aggiunge alla compagnia la giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), che personifica la funzione di shapeshifter, che intuisce subito che Marc è “il super-testimone oculare” del delitto. Questi viene portato in questura, dove viene tenuto per quattro ore.

Carlo aka Gabriele Lavia in Profondo Rosso

Carlo (Gabriele Lavia): un personaggio di Profondo Rosso che esercita molteplici funzioni narrative

Ritorna poi in Piazza CLN, dove ritrova il suo amico Carlo, sempre più sbronzo, che dice di avere visto l’uomo con l’impermeabile nero solo di spalle. Marc gli confida che ha la sensazione che nella casa di Helga sia sparito un quadro, e Carlo gli risponde con una frase sibillina: “Guarda, forse hai visto una cosa talmente importante che non te ne rendi conto. … Certe volte, quello che vedi realmente, e quello che immagini, si mischia nella memoria come un cocktail, del quale tu non riesci più a distinguere i sapori”. Marc gli risponde che sta dicendo la verità, ma Carlo replica: “No Marc, tu credi di dire la verità, e invece dici soltanto la tua versione della verità”.

Queste frasi risuoneranno a lungo nella mente di Marc, portandolo alla fine a scoprire il mistero dell’identità dell’assassino, per cui di fatto Carlo in questa sequenza esplica la funzione di aiutante dell’eroe.

Assistiamo quindi al funerale in rito ebraico di Helga. Gianna spiega a Marc che il professore amico della telepate si chiama Giordani, ed è uno psichiatra, appassionato di parapsicologia. Mentre passeggiano nel cimitero, tra i due nasce del tenero.

Quindi partono con la scassatissima Fiat 500 di Gianna, che chiede a Marc di darle una mano per risolvere il caso, per fare un bel colpo giornalistico. Pochi istanti prima, uscendo dal cimitero, questi le confida di volere rimanere in città, aggiungendo: “ho bisogno bisogno di concentrarmi, devo ricordare, sono sicuro di avere visto qualcosa di molto importante quella notte, ma non mi ricordo più che cosa, accidenti”. La chiamata all’avventura è sempre più irresistibile per Marc, che in questo film è il prototipo dell’eroe determinato e pronto tutto. I due incominciano subito a indagare.

Dopo un vano tentativo di Marc di trovare al Blue Bar il suo amico Carlo, la scena si sposta nel teatro dove è avvenuto il congresso sul paranormale, ma i due non riescono a trovare nessun nuovo elemento veramente importante, nonostante la disponibilità del professor Giordani e del suo amico, Mario Bardi, una specie di veggente.

Marc e Gianna si vedono poi nell’appartamento di quest’ultima, dove è abbastanza evidente che tra i due è scoppiata la passione, ma l’atteggiamento femminista di lei provoca degli attriti tra i due, per cui Marc decide di seguire una sua pista e di non volerla avere tra i piedi. La giornalista continua a personificare la funzione di shapeshifter, tipica delle donne fatali, che disorientano ma al tempo stesso attraggono gli eroi.

Marc si reca a casa della mamma di Carlo (Clara Calamai), una vecchia signora che è stata una famosa attrice nel lontano passato. Lei ha qualche rotella fuori posto, e continua a chiamate Marc “ingegnere”. Comunque, alla fine, riesce a sapere dove Carlo è andato.

Marc scopre così che il suo amico è gay, e ha una relazione con un uomo molto effeminato. Carlo è ancora a letto, con i postumi della sbronza colossale della sera prima.

I due se ne vanno via, e subito dopo li vediamo passeggiare in Piazza CLN, dove Carlo prima sostiene di non essere in grado di ricordare cosa aveva detto al suo amico a proposito del quadro che sembrerebbe essere sparito in casa di Helga, poi esorta l’altro ad abbandonare le investigazioni e di lasciare il paese, operando in questo caso come un guardiano della soglia.

Dopo due brevi scene senza molta importanza, vediamo Marc nel suo appartamento, mentre suona il piano. Arriva un taxi sotto casa sua, che scopriamo essere in piazza CLN, nello stesso edificio dove c’è l’appartamento di Helga. Qualcuno cammina sul tetto: pezzi di intonaco cadono sul pianoforte. Alcuni rumori sospetti attirano l’attenzione di Marc, ma quando sente la canzoncina infantile che ha accompagnato gli altri omicidi prende consapevolezza di essere in pericolo di vita. Continua a suonare il piano, ma sente dei passi avvicinarsi e afferra una statuetta, pronto a difendersi. Improvvisamente squilla il telefono, si precipita a rispondere e approfitta per chiudere la porta scorrevole. L’assassino lo minaccia di morte con una voce stentorea, mentre Marc parla con Gianna al telefono, invocando aiuto. Subito dopo vede ancora una volta dalla finestra allontanarsi la figura con cappello e soprabito scuro.

Dopo avere comprato un album di canzoncine infantili, lo vediamo a colloquio con il professor Giordani e il suo amico Mario Bardi. Il professore espone una sua teoria che spiegherebbe quanto accaduto: il misterioso assassino sarebbe divetato tale in seguito a un trauma infantile, legato alla musica che deve sentire prima di commettere i suoi efferati delitti.

Mario Bardi, che in questa scena assume la funzione di mentore, in quanto gli fornisce una informazione essenziale per proseguire le sue ricerche, consiglia quindi a Marc di cercare un libro, Fantasmi di Oggi e Leggende Nere dell’Età Moderna, reperibile presso nella Biblioteca del Folclore e delle Tradizioni Popolari. Nel libro ci sarebbe un racconto in merito a una villa abbandonata, La Villa del Bambino Urlante, nella quale si sentirebbe spesso risuonare una filastrocca per bambini e dove si sarebbe consumato nel passato un atroce delitto.

Marc si mette subito alla ricerca del testo, che diventa una sorta di oggetto magico, capace di fare luce su un passato oscuro. Il protagonista comincia quindi il suo viaggio verso la caverna più profonda, luogo nel film identificabile con la villa stessa, posto dove il male ha avuto origine.

Lo vediamo quindi nella biblioteca, mentre prima sfoglia in testo consigliatoli, poi si legge l’incipit del racconto La Villa del Bambino Urlante, che subito colpisce l’attenzione dell’improvvisato detective, che strappa dal libro una pagina con l’immagine dell’ignoto edificio.

Marc comincia a cercare l’autrice del libro, Amanda Righetti (Giuliana Calandra), chiedendo l’aiuto di Gianna per trovare il suo indirizzo, durante una difficile telefonata da un bar.

Tuttavia capiamo che l’assassino si prepara a colpire, perché assistiamo alla solita scena in cui vengono inquadrati con la telecamera snorkel i ninnoli sul velluto, vediamo i guanti neri e l’occhio truccato, il tutto accompagnato dalla solita, inquietante musica dei Goblin.

Subito dopo la scena si sposta nella sperduta casa di campagna di Amanda, che dopo avere salutato la sua signora delle pulizie si accorge che qualcuno è entrato in casa. Esce di corsa, probabilmente per chiedere aiuto, ma la corriera ha già portato via l’anziana governante.

Rientra rassegnata, dove l’attende una bambola appesa al soffitto, mentre qualcuno libera i suoi uccelli dalla gabbia, dopo avere spento la luce, e quando sentiamo l’infernale musichetta infantile capiamo che la sua fine è vicina. I suoi tentativi di difesa sono inutili. Prima viene stordita con un colpo in testa, poi viene affogata nell’acqua bollente, nella sua vasca da bagno. Prima di morire riesce a scrivere qualcosa su un muro, ricoperto dalla condensa del vapore.

Quando Marc, a notte fonda, finalmente riesce a raggiungere l’isolata casa di campagna di Amanda, la scritta è già scomparsa, perché una finestra si è aperta, lasciando evaporare tutta la condensa.

Il protagonista si incontra con Gianna, nella sua scassatissima Fiat 500 bianca. Marc ormai si sente braccato, ha lasciato le sue impronte digitali sulla scena del delitto, solo scoprendo il vero assassino potrebbe evitare l’arresto.

La chiave del mistero è nella misteriosa villa, ma essendo morta Amanda il protagonista deve ricorrere ad altri mezzi per trovare il misterioso edificio. Comincia quindi un giro presso le serre della città, alla ricerca del fornitore della rara pianta esotica visibile nella pagina del libro che ha strappato.

Dopo una breve e inutile scena dove vediamo gli uffici della polizia, Marc contatta telefonicamente il professor Giordani, che incontra in un mercato e ragguaglia sugli ultimi sviluppi.

Avendo trovato il fornitore della pianta esotica e ottenuto indicazioni sulla posizione della villa misteriosa, Marc riesce finalmente a trovarla, e si mette in contatto con il guardiano, che gli conferma che sull’edificio corrono strane leggende.

Vediamo poi il professor Giordani sul luogo dell’ultimo delitto, mentre parla con l’anziana governante di Amanda, dopo la venuta della polizia. Non riesce a ottenere informazioni utili da lei, ma quando la signora apre l’acqua calda del bagno per pulire della macchie di sangue, vede la condensa sui muri e intuisce, vista la posizione della vittima segnata sul pavimento, che deve avere scritto qualcosa sul muro. Apre tutti i rubinetti e riesce a leggere la scritta, prima di lasciare la casa e la sgomenta governante. Ma lo sguardo in soggettiva dell’omicida ci segnala che questi sta assistendo alla scena.

Marc, accompagnato dalla figlia del custode della villa (ragazzina che personifica la funzione del trickster), si reca nella vecchia costruzione, che comincia a esplorare, in quella che può essere considerata come una prima fase della prova centrale. Dopo una lunga ricerca, trova un disegno sotto l’intonaco di un muro. L’immagine è inquietante, e rappresenta un bambino con coltello insanguinato in mano, nell’atto di pugnalare una figura demoniaca, con un albero di natale sullo sfondo. Si fa sera, e Marc viene colpito dal vetro di una finestra che cade dall’alto. Il custode richiama Marc, che si allontana, ma l’inquadratura rimane fissa sul disegno, mentre sentiamo dei passi avvicinarsi. Capiamo che il protagonista non era solo nella villa.

Dopo una breve scena che ci fa vedere Marc guidare la sua auto a notte fonda, guardiamo il professor Giordani mentre sta cercando senza successo di chiamare qualcuno al telefono, presumibilmente lo stesso Marc, che non può rispondere, in quanto fuori casa sua. Giordani si accorge ben presto di non essere solo in casa, e afferra un acuminato tagliacarte per difendersi. La stentorea voce dell’assassino lo chiama, e subito dopo un pupazzo meccanico irrompe nella stanza. Giordani lo atterra, ma l’assassino lo stordisce prima con un colpo di attizzatoio, poi lo sbatte violentemente sugli spigoli del caminetto, finendolo con un colpo dello tesso tagliacarte impugnato dal professore.

Marc viene a sapere dell’incredibile delitto da Gianna, telefonicamente. I due si ritrovano subito dopo, e decidono di scappare insieme. Mentre Gianna va a preparare le valigie, Marc viene folgorato da una intuizione, mentre guarda la foto della villa nella pagina del libro che aveva strappato. Infatti nell’edificio reale manca una finestra visibile nell’immagine: il protagonista si rende conto che ci deve essere una stanza murata. Marc lascia un biglietto a Gianna per dirle dove va e torna nella villa, affrontando la seconda parte della prova centrale.

Nella rocambolesca ricerca della stanza, rischia di precipitare nel vuoto, ma alla fine riesce ad entrare, sfondando un muro a picconate. La stanza murata è quella dove è avvenuto il delitto visto all’inizio del film, con un cadavere ormai mummificato seduto su una sedia. Marc arretra inorridito, ma qualcuno lo colpisce alle spalle.

Si sveglia tra le braccia di Gianna, mentre la villa brucia alle loro spalle. Lei lo ha salvato all’ultimo momento, sottraendolo alle fiamme che hanno inghiottito la villa, incarnando temporaneamente la funzione dell’eroe, anche se non vediamo l’azione. Marc è sopravvissuto alla prova centrale grazie all’aiuto della sua amica, e la sua ricompensa consiste nell’avere acquisito la certezza che quanto successo nella villa deve avere scatenato la furia omicida dell’assassino.

Comincia la via del ritorno, nella quale l’eroe deve affrontare le forze oscure che non è riuscito a debellare nella prova centrale, che lo inseguono mentre cerca di tornare nel suo mondo ordinario.

Marc e Gianna si recano a casa del custode della villa, da dove chiamano soccorsi. Marc scopre un disegno nella cameretta della figlia del custode, uguale a quello ritrovato nella villa. La bambina confessa di averlo copiato da uno schizzo che aveva trovato negli archivi della sua scuola.

Senza aspettare i soccorsi, Marc e Gianna si precipitano nell’edificio scolastico, forzandone l’ingresso, alla ricerca del disegno, che è la chiave per arrivare all’identità dell’assassino, che evidentemente deve avere frequentato la scuola stessa.

I due si separano, e mentre Marc continua a cercare tra i disegni degli archivi, Gianna chiama la polizia al telefono. La voce dell’assassino nel buio ci fa capire che la giornalista è in pericolo.

Marc trova finalmente il disegno, chiama la sua amica che non risponde. Capisce che qualcosa non va e la cerca nell’edificio. Alla fine la trova per terra, pugnalata, in gravi condizioni. Marc chiama l’assassino, che compare con una pistola in pugno. E’ il suo amico Carlo, che in questo frangente personifica la funzione di ombra.

Questi gli dice di essere dispiaciuto di doverlo uccidere, ma viene fermato dal provvidenziale intervento della polizia. Carlo scappa a gambe levate, ma trova una morte orrenda, prima arpionato da un gancio di un camion e trascinato per centinaia di metri sull’asfalto, poi sbattuto su un marciapiede e quindi finito dalle ruote di un auto, che gli schiacciano la testa.

Ma non è ancora finita: il nostro eroe deve ancora affrontare la prova finale, la resurrezione.

Mentre passeggia in piazza CLN, Marc si rende conto che Carlo non può avere ucciso la medium Helga Ulmann: era con lui quando la aveva vista alla finestra che dà sulla piazza, ed era davanti all’assassino che si allontanava dalla scena del delitto.

Il protagonista torna nella casa di Helga, con la voce di Carlo che ripete delle frasi nella sua mente, e si rende conto che il quadro che sembrava essere sparito in realtà era uno specchio, nel quale era riflesso un quadro e la faccia dell’assassino.

In quella si gira e si accorge della presenza della madre di Carlo, vestita con il soprabito scuro e il cappellaccio. Vediamo quindi la scena completa dell’assassinio rappresentato all’inizio del film, nel quale il padre di Carlo viene ammazzato dalla madre, che si rifiutava di essere ricoverata in clinica. Lei cerca di uccidere Marc con la sua accetta, inseguendolo fin sul pianerottolo delle scale del palazzo. Ma la sua collana rimane incastrata nell’ascensore. Il protagonista aziona il dispositivo, che decapita l’assassina.

I titoli di coda scorrono sulla pozza di sangue nel quale Marc si vede riflesso. Anche se duramente provato, finalmente il nostro eroe ritorna con l’elisir nel suo mondo ordinario: non solo ha salvato la vita e la reputazione, ma ha portato alla luce tutta la verità sui terribili omicidi di cui è stato testimone, eliminando la pericolosa ombra, che seminava morte sul suo cammino.

Profondo Rosso - finale

La splendida inquadratura finale di Profondo Rosso

 

Profondo Rosso: l’ennesimo Viaggio dell’Eroe, sia pure con alcune varianti rispetto allo schema canonico

Marc comincia la storia come il prototipo dell’eroe determinato: non ha nessuna incertezza nel gettarsi nella sfida, accettando subito la chiamata all’avventura. Infatti non ha bisogno di nessun mentore per raccogliere il guanto della sfida lanciatogli dall’assassino, e impegna tutto sé stesso nell’impresa, anche quando le cose sembrano mettersi al peggio, in quanto sospettato degli omicidi.

Per questi motivi nella struttura della storia mancano due fasi del viaggio dell’eroe: il rifiuto della chiamata e il mentore.

In un film lungo due ore, dopo solo venti minuti di narrazione il nostro eroe si trova infatti già nel pieno dell’azione, affrontando le prove, alleati e nemici, mettendo in gioco tutto sé stesso nel mondo straordinario, dominato dall’ombra, il misterioso assassino.

La figura del mentore compare comunque più tardi nel racconto, incarnata nei personaggi del professor Giordani e del suo amico Mario Bardi, che gli forniscono preziose informazioni senza le quali la sua azione investigativa sarebbe stata senza speranza.

Marc inoltre è stato sul punto di abbandonare tutto e scappare, dopo la prova centrale, ma il suo intuito gli ha comunque permesso di andare avanti, anche se va detto che senza il provvidenziale aiuto di Gianna sarebbe morto tra le fiamme della villa. Anche lungo la via del ritorno, Marc sarebbe stato assassinato da Carlo nella scuola, se non fosse accorso armi in pugno il commissario Calcabrini. Ma nella resurrezione, il nostro eroe riesce da solo a scoprire la verità ed eliminare l’assassino, confermando fino in fondo il suo valore.

La storia presenta un’altra variante di un certo rilievo rispetto al canovaccio delineato da Christofer Vogler: la prova centrale è di fatto divisa in due parti, che avvengono nella villa misteriosa. In un primo tempo Marc trova il dipinto dietro l’intonaco sul muro e rimane leggermente ferito, e nel prosieguo della storia torna nell’edificio, per trovare la stanza murata, rischiando però di morire bruciato vivo. Le due parti, inframmezzate dall’efferato omicidio del professor Giordani, garantiscono alla narrazione un crescendo di tensione, che continua a montare fino alla fine del film.

Certo, Profondo Rosso non rispetta pedissequamente lo schema del viaggio dell’eroe, come invece hanno fatto pellicole come Matrix, del 1999, dei fratelli Wachowski,  o Predator, del 1989, con Arnold Schwarzenegger, del ma nel suo complesso la storia raccontata in questa pellicola rispetta i punti fondamentali delineati da Vogler, la cui teoria si dimostra essere per l’ennesima volta uno strumento valido per analizzare le narrazioni.

Uno schema che non va però considerato in maniera rigida, ma come una sorta di canovaccio che si presta a infinite variazioni sul tema, come lo stesso Vogler ha sottolineato nel suo libro.

Molto interessante è il personaggio di Carlo, che nel racconto personifica diverse funzioni narrative: aiutante, trickster, guardiano della soglia e ombra.

Anche in questa pellicola c’è una corrispondenza tra i passaggi della storia e i luoghi che vi sono descritti. In modo particolare colpisce la villa, a cui è dedicato ampio spazio nel racconto, che corrisponde alla caverna più profonda, nella quale si annidano le radici del male e dove l’eroe affronta una complessa e articolata prova centrale.

Anche l’appartamento di Helga Ulmann è un luogo fondamentale: il protagonista vi entra per la prima volta per cercare di salvare la telepate, varcando la prima soglia, quella che segna l’ingresso nel mondo straordinario, dominato dall’ombra, il misterioso assassino. Ed è sempre in questo luogo che, alla fine del film, Marc deve rientrare, per sostenere la prova finale, che consiste di fatto nell’eliminazione dell’ombra. Ucciso il killer, il mondo straordinario cessa di esistere, e torna a essere il mondo ordinario, grazie all’intervento del nostro eroe. E il cerchio si chiude, con un finale perfetto.

Alessandro Marotta

 

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