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Area in concerto a Pordenone – 23 marzo 2013

Fa un certo effetto andare a un concerto di un gruppo storico come gli Area. Sono passati ben quarant’anni dal loro primo album, i tempi sono cambiati, non c’è più Demetrio Stratos, il batterista è stato sostituito… cosa aspettarsi da un concerto degli Area oggi? Se ci si pone davanti a un concerto del genere con l’idea, o la speranza, di rivedere gli Area degli anni ’70, molto probabilmente si rimarrà delusi. Bisogna piuttosto pensare di avere di fronte tre musicisti che cercano di trasmettere le loro decennali esperienze rivisitando le canzoni storiche degli Area.
Il primo a salire sul palco del Deposito Giordani è Paolo Tofani, che si siede a gambe incrociate, accompagnato, oltre che dalle strumentazioni elettroniche, dalla sua fida Trikanta Veena. Tofani sembra avere un’adorazione quasi mistica per questa chitarra a tre manici, che vede come una sintesi delle sue passioni ed esperienze musicali, il punto d’arrivo della sua ricerca e la via per esprimere al meglio la sua arte. Le sonorità orientali ipnotizzano il pubblico, e oltre all’acustica interviene anche l’elettronica: la Trikanta diventa prima un gong, poi una voce femminile, fino a sparare cannonate. Non è certo musica per il corpo, quanto più musica per la mente.
Dopo questa breve esibizione solista, entrano in scena gli altri due membri storici degli Area, il tastierista Patrizio Fariselli e il bassista Ares Tavolazzi, insieme al batterista Walter Paoli. Parte quindi il riff di basso di “Arbeit macht frei”, dall’omonimo primo album del gruppo, e si entra nel vivo del concerto. La voce di Stratos è sostituita, in alcuni casi, dal piano di Fariselli, e forse in una certa misura viene lasciata all’immaginazione dell’ascoltatore. Il gruppo procede poi con “Sedimentazioni”, il pezzo che in due minuti <<ha al suo interno tutti i pezzi degli Area>> (con qualche necessaria sovrapposizione…), al quale il pubblico risponde in modo un po’ freddo. Si riprende con lo strano ritmo di “Cometa rossa”, per proseguire poi con “Nervi scoperti”, durante la quale viene lasciato spazio a un lungo assolo di batteria di Walter Paoli. “Gerontocrazia” si apre invece con una lenta ballata strumentale dedicata a Stratos.
Ogni pezzo è un’occasione per i quattro musicisti di improvvisare e sperimentare, di esibire le loro incredibili qualità tecniche e musicali. “L’elefante bianco” e “La mela di Odessa” (quest’ultimo “recitato” da Tofani) sono i brani che entusiasmano maggiormente il pubblico. Pubblico non numerosissimo, cosa che può sorprendere se si pensa che gli Area sono considerati uno dei gruppi più importanti della storia del rock italiano, meno sorprendente se si pensa che la musica degli Area non è facilmente accessibile, e che il gruppo si è sempre tenuto fuori dalle logiche del mercato e della musica “pop” come è intesa oggi. Numerosi, d’altra parte, i giovani presenti. Il chitarrista Tofani apprezza: <<siamo molto felici di vedere ai nostri concerti i giovani, è per noi un’esperienza sempre nuova>>.
La prima parte del concerto si chiude con “Luglio agosto settembre nero”, che comincia con la registrazione del recitato presente nell’album originale, accompagnato dal tintinnio delle chiavi del pubblico. Un modo per coinvolgere i presenti, ricordando la tradizione palestinese di tramandare ai figli le chiavi delle abitazioni da cui sono stati cacciati. Dopo il bis, costituito da “Gioia e rivoluzione” cantata da Tofani, Tavolazzi e dagli spettatori tutti, in un clima di festa il pubblico, soddisfatto, saluta i quattro musicisti.

Federico Munini

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