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Mattia Bosco Come cera per le api Museo Diocesano di Milano 9 giugno-30 agosto 2015

Inaugura lunedì 8 giugno alle ore 19.00 al Museo Diocesano di Milano una mostra personale di Mattia Bosco (Milano, 1976).

L’artista presenta una selezione di sculture in pietra, legno e ceramica (quest’ultime mai esposte prima) appartenenti a cicli differenti e oggetto di una medesima indagine sui materiali tradizionali della scultura e sulla loro vitalità.

Le opere esposte al Museo Diocesano mostrano la trasversalità e la convergenza di materiali con vocazioni formali diverse, se non addirittura opposte.

Da anni Mattia Bosco indaga i materiali e le loro potenzialità scultoree. Lavora il marmo, il legno, la ceramica seguendo il filo delle sue personali riflessioni, estetiche e filosofiche. L’indagine porta l’artista a scoperte sorprendenti, che gli rivelano il carattere nascosto degli elementi primari della natura, ben al di là dell’immagine convenzionale che di essi abbiamo. Nel lavoro di Mattia Bosco gli elementi dialogano tra loro per effetto di intuizioni e di intime corrispondenze. Non c’è sudditanza tra un materiale e l’altro.

Le questioni formali affrontate lavorando il legno, ad esempio, trovano conseguenziale risposta nella pietra, oppure si ritrovano nella sensualità della ceramica, e vice-versa. Nessun materiale ha l’ultima parola, e quello che si apprende da una parte può avere effetti imprevisti altrove. L’artista afferma: “tra la mia ricerca in pietra e quella in legno, io sento una consanguineità, un’alleanza più che una sottomissione dell’uno ai valori dell’altro. Il pensiero che questi materiali possano portarsi reciproco vantaggio è quello che mi spinge a presentarli all’interno di una stessa mostra, dopo averli proposti separatamente”.

Nel caso del marmo, Bosco è sedotto dalla durezza respingente della pietra. Per il legno, dalla sua duttile versatilità, dal verticalismo degli alberi e dai contrasti, senza mai considerare queste qualità come caratteri definitivi o punti d’arrivo imprescindibili. Nel legno scolpisce e lavora accuratamente alcune parti mentre altre sono lasciate grezze, marcando volutamente le differenze tra naturale e artificiale, tra lavorato e non lavorato. Il senso dell’operazione è quello di mostrare come all’interno dell’elemento legno (albero) esista già un’idea di forma preesistente che l’artista ha il compito di tirare fuori, isolandola come concetto. Emblematico il caso dell’opera Architrave (2015) dove la trave è la maturazione di una forma che l’albero conteneva già in sé come possibilità e come spunto.

La seducente plasticità della ceramica, infine – per terminare con il terzo elemento della triade – che permette così ampia libertà di esecuzione, è nelle sue opere spinta alle estreme conseguenze. Da materia morbida e avvolgente, diventa una sconcertante composizione finale di sottili nastri, cristallizzati e ritorti. Un’idea di forma spinta al limite delle sue possibilità.

Tra i lavori esposti in mostra anche la scultura x, y, z (2014), una sorta di manifesto della poetica di Mattia Bosco, e opera capostipite di sculture successive. Quest’opera è nata dall’idea di utilizzare la specificità di due segni profondamente diversi, quello della natura e quello del robot, per comporre un’immagine unitaria, ottenuta a partire da questi due tracciati, facendoli convivere nella loro differenza. L’artista ha chiesto al robot di scolpire esattamente la forma della pietra su cui avrebbe lavorato, di ridisegnarla, in alcune parti, con il suo stile, in modo tale che non venisse mai sacrificata parte della superficie della pietra con qualità che non fossero presenti altrove. Per fare questo è stato necessario un complesso lavoro preliminare di acquisizione del volume della pietra con uno scanner 3d e di programmazione. Il robot ha assecondato le forme della pietra entrando al suo interno di 3 millimetri, sufficienti a rivelare al di sotto della pelle invecchiata e consumata il candore del marmo bianco e la sua luce, insieme alla purezza rigorosa delle sue linee di calcolo.

La materia della scultura, per Mattia Bosco, è come cera per le api.
“Non è un mezzo espressivo” dice l’artista, “ma è ciò che rende l’opera viva, che la fa esistere. In scultura non si usa la materia, si forma una materia e con essa l’opera. Formarla non è violarla, ma assecondarne le tendenze, disinfiammare lentamente le resistenze, accelerarne la maturazione, visitarne il destino”.

Disponibile un catalogo edito da Gli Ori, italiano/inglese, formato 13×18 cm, pp. 96 4+4, circa 60 immagini tra foto di opere, disegni e bozzetti, con una conversazione tra l’artista e la giornalista Anna Siccardi e testi di Haroon Mirza, del filosofo Alfonso Cariolato, degli scrittori Maurizio Torchio, Orazio Labbate, Alcide Pierantozzi e Benedetta Tobagi. Coerentemente con la mostra il libro illustra la ricerca artistica di Mattia Bosco attraverso il marmo, il legno e la ceramica.

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