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PORDENONE : ARTE, l’omaggio a FRANCO DUGO che RACCONTA I MAESTRI

 

Rembrandt, 1990, ps., mm 501x401

Rembrandt, 1990, ps., mm 501×401

PORDENONE – Una sequenza emozionante di ritratti e opere d’arte che sprigionano, le suggestioni artistiche del passato. Venticinque splendide testimonianze degli articolati e imponenti “episodi” pittorici e grafici, nei quali il Maestro goriziano Franco Dugo, grande pittore della contemporaneità, trae ispirazione più o meno direttamente dai grandi del passato: come Leonardo e Rembrandt, Dürer e

Il cavaliere, la morte e il diavolo, 2005, acf. E ps. Su zinco, mm 1000x1000

Il cavaliere, la morte e il diavolo, 2005, acf. E ps. Su zinco, mm 1000×1000

Vermeer. Promossa dal Centro Iniziative Culturali di Pordenone, in collaborazione con il Comune di Sesto al ReghenaFranco Dugo. L’antico nel nuovoDa Dürer Rembrandt Leonardo Vermeer arte che viene dall’arte è la mostra che si inaugura sabato 8 novembre nell’ambito del 23° Festival internazionale di Musica Sacra e resterà visitabile fino all’8 dicembre 2014 nell’Abbazia Santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena. In vetrina uno spicchio visuale straordinario dell’opera pittorica di Franco Dugo: il suo grande omaggio alla immensa tradizione del figurativo, quale si è manifestata nel rinascimento e nel barocco, declinata anche verso i grandi contemporanei o quasi, come dimostrano ad esempio i lavori che Dugo ha dedicato alle figure di Cézanne e Picasso. «Attorno alla Gioconda di Leonardo” – spiega il critico d’arte Giancarlo Pauletto, curatore della mostra di Sesto al Reghena che il CICP ha incastonato nella 23^ edizione del Festival internazionale di Musica Sacra – si ricostruisce la storia del celebre furto e dei falsi che ne sono conseguiti: sorta di ironica meditazione sugli inganni di cui l’arte può essere nello stesso tempo vittima, ma anche fautrice, attraverso il mito di quasi sovrumanità che non sempre innocentemente le viene creato attorno. Mentre invece nelle riprese da Vermeer sembra che Dugo voglia sottolineare, rispetto al modello, una sorta di maggior peso realistico, del resto coerentemente con la sua sensibilità. Insomma, l’arte trattata come un pezzo di realtà, l’antico che si riversa in una nuova intenzione».

L’antico custodito nel nuovo: a scandire – nell’articolato programma del 23° Festival internazionale di Musica Sacra a Pordenone e Sesto al Reghena – una connessione costante e necessaria fra presente e passato, fra innovazione e tradizione, fra la musica e le arti, fra gli artisti e il territorio, fra le nostre idee e quelle dell’altro. «Franco Dugo, con i suoi straordinari ritratti, provocherà il nostro coinvolgimento, la nostra reazione. Il nostro sguardo non potrà essere quello di uno spettatore disattento e veloce – spiega la coordinatrice del progetto, Maria Francesca Vassallo – Dovremo lasciarci catturare da quei volti, dove ogni segno e ogni ruga riportano a vita vissuta. E che vite. Durer, Rembrandt, Leonardo, Vermeer e tutti gli altri che saranno esposti al pubblico, forse sorpresi di trovarsi in un luogo mai visto e altrettanto ricco di storia e storie. L’Abbazia di Sesto al Reghena. Quando usciremo

La Gioconda recuperata dai carabinieri, 1982, ps. mezzotinta e fotoincisione, mm 601x501

La Gioconda recuperata dai carabinieri, 1982, ps. mezzotinta e fotoincisione, mm 601×501

da quelle sale non potremo essere uguali a prima. Sarà questo il contributo, impagabile, che la forte personalità di Dugo ci mette a disposizione partecipando, con le sue opere, al progetto “L’antico nel nuovo”, a cui è dedicata la ventitreesima edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra. Assieme a lui musicisti, esperti e studiosi per condurci, ciascuno con i propri linguaggi, in tempi e luoghi dove tante culture diverse si incontrano e si trasformano alla ricerca, è il nostro caso, di un senso alto, sacro, dell’esistenza».

La vernice della mostra Franco Dugo. L’antico nel nuovoDa Dürer Rembrandt Leonardo Vermeer arte che viene dall’arte  (il percorso espositivo numero 424 dell’intensa attività produttiva del CICP) è in programma sabato 8 novembre, alle 17, presenti il sindaco di Sesto al Reghena Marcello Del Zotto, la presidente CICP Maria Francesca Vassallo, il presidente del PEC don Luciano Padovese e il curatore Giancarlo Pauletto. Visite con ingresso gratuito da giovedì a domenica, in orario 10/12 e 15/19. Info: www.comune.sesto-al-reghena.pn.it ewww.centroculturapordenone.it

«Fin dagli inizi, attorno al Settanta, quando Franco Dugo decise infine che sarebbe stato artista e solo artista – spiega il critico Giancarlo Pauletto – la realtà è stata il tema, il perno attorno al quale ha girato, da allora, tutta la sua arte, che si è espressa e ancora si esprime attraverso l’olio, il pastello, il disegno, molto ampiamente con l’incisione, e che si è provata anche in talune notevoli prove di scultura. Se, alla metà degli anni Settanta, i temi sono quelli delle “aristocratiche”, cioè di ricche signore anziane che vivono proprio nel loro corpo la stessa dissoluzione della carne, e poi il  tema della follia in cui, attraverso soluzioni figurative nitidissime e fredde, si esprime la solitudine e l’abbandono, nell’Ottanta si giunge alle “identificazioni”, la grande seriefoto010 AR che Dugo prende sì dalla fotografia criminale a cavallo tra otto e novecento, per farne tuttavia una secca, metafisica domanda sull’identità umana in generale, sul “cos’è” della vita stessa. A questo punto appare chiaro all’artista che l’immagine, ogni immagine, non ha più bisogno di supporti simbolici, letterari, per dire quello che deve dire. Basta il ritratto, per esempio lo splendido ritratto del padre del1989, basta la figura di Cézanne seduto davanti al proprio cavalletto, del 1997, basta tutta la splendida serie dei pugili tra fine anni ottanta e inizi anni novanta, bastano i notissimi ritratti di poeti, letterati e musicisti, tra i quali si annoverano molte delle riuscite più alte di Dugo. Questo guardare la figura esattamente nei suoi contorni, mettendola davanti a noi in tutta la sua precisa nitidezza, usando allo scopo un colore severo, del tutto alieno da compiacimenti, significa alla fine mettere lo spettatore di fronte a se stesso: così Kafka e Pasolini ci guardano, dal fondo degli occhi, per caricarci di tutte le loro domande, e noi sappiamo che i loro problemi d’esistenza sono in fondo anche i nostri».

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