A porre il suggello a un’edizione memorabile delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone per la spettacolarità dei film presentati, non poteva che essere City Lights – Luci della città (1931), l’opera archetipica di Charlie Chaplin e la più perfettamente realizzata, secondo David Robinson, il biografo ufficiale del regista nonché direttore artistico del festival. Un film che ebbe una lavorazione lunghissima, 683 giorni totali, di cui 179 per le riprese e i restanti 504 per la preparazione di set e costumi, prove con gli attori, montaggio, lavoro sulla musica. Non furono d’aiuto i malanni dello stesso Chaplin, che dovette affrontare una fatica fisica e psicologica superiore a quella affrontata in tutti gli altri suoi film.
Si pensi, solo per fare un esempio, alla breve scena del primo incontro con la fioraia, quando per ottenere l’intonazione e l’intensità giusta per la semplice battuta “Un fiore, signore” (che naturalmente nessuno avrebbe sentito) dovette girare un numero infinito di ciak. Il rapporto di Chaplin con la protagonista femminile, Virginia Cherrill, una ventenne della buona società di Chicago, che Chaplin aveva scelto per la sua capacità di sembrare cieca senza risultare offensiva, sgradevole (il regista le aveva suggerito di guardare “internamente”, di non vederlo) non fu mai facile. “Charlie non mi era mai piaciuto, dichiarò lei molti anni dopo, e io non ero mai piaciuta a lui.” A dispetto di tutte le difficoltà, l’esito finale è il capolavoro immortale che sabato 11 ottobre alle ore 20.30 e, in replica, domenica 12 ottobre alle ore 16 sempre al Teatro Verdi di Pordenone si potrà vedere con la partitura originale dello stesso Chaplin, restaurata da Timothy Brock, con la direzione di Günter Buchwald a capo dell’Orchestra San Marco di Pordenone.
La giornata conclusiva del festival riserva ovviamente altri momenti di grande interesse. Alle 14.30, sempre al Teatro Verdi, è in programma l’ultima tranche dell’ampia rassegna dedicata alle origini del Technicolor, che incrocia la retrospettiva sui Barrymore nel lungometraggio The Mysterious Island (1926) di Lucien Hubbard, con Lionel Barrymore. Tratto da L’isola misteriosa di Jules Verne, il film era stato concepito come la risposta M-G-M ai suoi successi del 1925, The Big Parade e Ben-Hur, ma le vicende produttive complicatissime, incluso l’avvicendarsi di tre registi, hanno condizionato profondamente il risultato finale. Nel trattamento di Hubbard il romanzo di Verne venne accantonato e fu dato maggiore sviluppo al prologo russo, aggiungendo nuovi personaggi, ampliando le scene subacquee e aumentando la spettacolarità. Come non mancarono di rilevare i recensori dell’epoca, il colore ha una funzione fondamentale, migliorando la natura fantascientifica della storia: “Invece dei paesaggi, dei fiori e dei ricchi costumi che solitamente sono il fulcro di questo tipo di film”, notava il Washington Post, “qui vediamo i macchinari e le meraviglie del laboratorio di un inventore esaltati dal colore… tutto si combina nel trasformare quello che avrebbe potuto essere un mero sfondo nel cuore vibrante e pulsante dell’intera scena.” La versione originale a colori è stata in genere considerata “perduta” e la versione preservata dalla M-G-M che dalla fine degli anni Settanta è circolata negli Stati Uniti e tuttora passa spesso in televisione è in bianco e nero. La copia a colori presentata alle Giornate è stata preservata dal Národní Filmový Archiv a partire da una copia nitrato con le didascalie in ceco: è l’edizione muta distribuita all’estero, che tuttavia è fondamentalmente uguale alla versione sonora. La copia di Praga manca purtroppo del rullo finale, ma per le Giornate la lacuna è stata colmata mediante il DCP di questo rullo ricavato da una copia 16mm in bianco e nero conservata dalla Cineteca del Friuli.
La mattinata al Verdi si apre alle 9 con l’ultimo film della rassegna “Risate russe” proposta dal Gosfilmofond di Mosca, La festa di Sant’Iorgen di Yakov Protazanov, poco conosciuto in occidente ma probabilmente il film sovietico muto più popolare presso il pubblico russo contemporaneo. In questo pamphlet antireligioso, in cui la Chiesa è paragonata a una potente industria, Protazanov trasforma una commedia – che per il pubblico sovietico era un genere “da camera” – in un film epico. Vi appare riunita per l’ultima volta la celebre “trinità protazanoviana”: Anatoli Ktorov, qui nella sua migliore prova di attore cinematografico, Igor Iliinsky e Mikhail Klimov. La festa di Sant’Iorgen fu realizzato nel 1930 e sonorizzato nel 1935, ed è quest’ultima la versione proposta alle Giornate.
A seguire, alle 10.30, l’ultimo titolo del “Canone rivisitato”, Die Liebe der Jeanne Ney (Il giglio delle tenebre, 1927) di G.W. Pabst, tratto da L’amore di Jeanne Ney di Ilya Ehrenburg, un romanzo d’amore e di avventura ambientato sullo sfondo dell’Europa dopo la rivoluzione bolscevica. Il film fu prodotto dall’Ufa sull’onda dell’entusiasmo suscitato in Germania dai temi e dalle forme del cinema sovietico grazie al successo dei film di Eisenstein e di Pudovkin e, più in generale, a ciò che Ehrenburg chiamava “il fascino esotico della rivoluzione russa.”
In un’edizione che si è caratterizzata per i ritrovamenti e le riscoperte, alcune davvero miracolose, l’ultimo giorno riserva ancora due sorprese che chiudono l’intensa mattinata: The Last Edition (1925) di Emory Johnson, girato nell’allora nuovo edificio del San Francisco Chronicle, e il film della Thanhouser The Star of the Side Show (1912) di Carl Louis Gregory, che si potrebbe considerare un prototipo di Freaks di Tod Browning.