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Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood: recensione comparata degli ultimi capitoli di due saghe leggendarie

Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood: recensione comparata degli ultimi capitoli di due saghe leggendarie

Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood hanno molto in comune. Entrambi sono gli ultimi capitoli di due saghe che hanno creato due personaggi che sono diventati dei miti del cinema contemporeaneo: Terminator e Rambo. Entrambi i film sono stati prodotti in piena guerra fredda. Il primo, indimenticabile Rambo è uscito nel 1982, mentre l’altrettanto memorabile Terminator viene lanciato due anni dopo, nel 1984. Il muro di Berlino è crollato sette anni dopo, nel 1989.

I primi capitoli delle due saghe sono basati sul conflitto frontale tra due forze opposte. L’eterna lotta del bene contro il male. Mentre Rambo è nato come un personaggio connotato positivamente, in quanto incarnava l’ideale dell’eroico combattente accolto da una Patria ingrata, il primo Terminator era invece un robot senz’anima, votato alla distruzione del genere umano.

Terminator ha forse impersonato per l’ultima volta, in modo magistrale, l’archetipo dell’odiato nemico che riesce a infiltrarsi nella tranquilla società americana, che ha visto nel cult movie L’invasione degli Ultracorpi, di Don Siegel, del 1956, la sua più efficace espressione. Ma negli anni Cinquanta negli Stati Uniti si respirava ancora un’atmosfera da caccia alle streghe, anche se il Maccartismo era in fase calante.

Dopo gli anni Ottanta le due saghe hanno poi preso traiettorie differenti.

Terminator e Rambo: due miti del superuomo giunti al capolinea

Entrambe le saghe hanno creato due miti legati alla potenza del maschio dominante, che di fatto avanza nel mondo schiacciando sotto i piedi qualunque cosa si frapponga tra lui e l’obiettivo che si è posto di raggiungere. Rappresentando una realtà nella quale le donne possono avere solo un ruolo secondario o al massimo, come nel caso di Terminator, essere rilevanti in quanto madri del futuro salvatore dell’umanità.

I due miti si sono poi evoluti in modo divergente. Rambo è rimasto fedele a sé stesso, continuando a macellare i suoi avversari, diventando in Last Blood il vendicatore di quella che può essere considerata sua figlia adottiva, impersonando l’archetipo del buon padre di famiglia che difende la sua casa e i suoi affetti, armato fino ai denti e ben felice di macellare vivi quanti turbano il suo tran tran quotidiano. E, come un bravo eroe western, alla fine sopravvive all’ordalia e cavalca da solo verso le sue amate montagne, pronto a ritornare in azione se qualcun altro avesse l’ardire di violare il perimetro della sua proprietà privata.

In Terminator Dark Fate l’inumano robot da combattimento conosciuto negli anni Ottanta è diventato un tranquillo padre di famiglia, che si sacrifica consapevolmente per dare una speranza a un’umanità che procede inconsapevole verso l’Apocalisse, vittima del suo stesso progresso tecnologico. Il suo ruolo è importante, ma non sopravvive ai furiosi combattimenti, lasciando il campo a delle eroine, destinate a guidare il genere umano nella sua titanica lotta contro le macchine. Particolare non da poco, nessuna donna partorirà il futuro comandante della resistenza umana, ma sarà lei stessa la leader, sia pure affiancata dalla settantenne Sarah Connor.

Va detto che entrambi i film risultano essere abbastanza risibili, nel momento in cui rappresentano degli eroi ormai incartapecoriti che si battono come demoni contro l’odiato nemico. Ma mentre Terminator ha il buon senso di morire eroicamente, lasciando alla vetusta Sarah Connor un ruolo ancillare al fianco della futura – e giovane – salvatrice del mondo, Rambo è quasi patetico nel rimanere incollato al suo ruolo di macho invitto. Il buon vecchio Sly dovrebbe riconoscere che il tempo del suo personaggio è finito. Meglio andarsene da eroi quando si è nel pieno delle proprie forze, magari combattendo impavidamente contro forze soverchianti, piuttosto che lasciarsi sorprendere dagli avversari quando ci si fa cambiare il pannolone dalla badante, magari inciampando nel catetere mentre si cerca maldestramente di estrarre l’amato mitragliatore.

Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood: due film figli del loro tempo

In entrambe le pellicole è possibile riconoscere una frattura che caratterizza l’attuale società statunitense, assente nei film degli anni Ottanta: il discusso muro con il Messico e la crescente importanza della comunità ispanica. In entrambi i film la barriera tanto amata da Trump viene violata senza eccessivo sforzo, e i personaggi messicani occupano entrambi i campi, sia quello buono che quello cattivo.

Tuttavia nell’ultimo Rambo il vero eroe è un maschio bianco, e gli ispanici fanno la figura dei puri delinquenti o, al massimo, dei poveri sprovveduti bisognosi di essere guidati e protetti dal buon vecchio ex berretto verde. In Terminator Last Blood il ruolo dei bianchi è secondario, mentre sia la futura eroina che l’odiato robot venuto dal futuro hanno dei chiari lineamenti ispanici. Sia il Terminator che Greta, l’algida donna cyborg venuta dal futuro per salvare la prossima salvatrice dell’umanità, si sacrificheranno per la causa.

In altre parole, mentre l’ultimo Terminator è proiettato versa l’immaginario della società multietnica, Rambo Last Blood sembra essere rimasto ancorato al mito della superiorità WASP.

Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood: due film influenzati dalle personalità di Schwarzenegger e di Stallone

Sylvester Stallone è nato a New York nel 1946. L’attore è statunitense, e, anche se tecnicamente non è WASP, in quanto i suoi genitori erano dei migranti italiani, Sly ha assorbito la cultura nordamericana del secondo dopo guerra, della quale è diventato una bandiera. Il personaggio di Rambo è arrivato nella società statunitense assieme a Ronald Reagan, ex-attore che ha subito adottato il nuovo mito del cinema come prototipo dell’eroe nell’immaginario dei repubblicani. Anche se Stallone ha sempre cercato di difendere l’apartiticità del suo personaggio, di fatto non è mai stato capace di liberarlo da questo stereotipo, come l’ultimo episodio della sua saga ha bene dimostrato.

Arnold Schwarzenegger è nato in Austria nel 1947, e poi si è naturalizzato statunitense. Qualcuno sostiene che per un certo periodo abbia vissuto negli Stati uniti come clandestino. Una storia del tutto diversa da quella di Sly, anche se entrambi sono nati da genitori non nordamericani a distanza di pochi mesi, e hanno vissuto una giovinezza alquanto travagliata. Negli anni Novanta ha cominciato una carriera politica nel Partito Repubblicano, che lo ha portato a diventare Governatore della California per due mandati consecutivi, e le sue posizioni contro il razzismo, il riscaldamento globale e l’inquinamento sono note.

Di fatto sembra che il personaggio di Terminator abbia assorbito le qualità politiche dell’attore che lo ha impersonato, in quanto è stato capace di evolversi assieme alla società statunitense. Fino ad avere il buon senso di levarsi di scena, prima di diventare il primo androide da combattimento che entra sul campo di battaglia con l’ausilio di un deambulatore.

Terminator Dark Fate e Rambo Last Blood: due film mediocri in maniera diversa

Sia chiaro che entrambi i film sono mediocri, assolutamente non all’altezza delle saghe di cui sono al momento il capitolo finale. Tuttavia Rambo Last Blood rasenta il patetico nel volere mantenere in vita un personaggio ormai non più credibile, per evidenti motivi di senescenza dell’attore che lo impersona. Per di più è costruito completamente attorno alla figura di Rambo, è realizzato con mezzi alquanto modesti, è recitato male e sorretto da una storia debole e scontata. Speriamo che Stallone non affondi ulteriormente il mito dell’ex berretto verde con un altro sequel, di cui nessuno sente il bisogno. Lasciamo che il vecchio eroe si goda i suoi ultimi giorni in ospizio e ricordiamocelo come era da giovane.

Terminator Dark Fake è invece un passabile film di intrattenimento, che ci permette di passare due ore spensierate al cinema. Un film nel quale il Terminator ha un ruolo secondario, comparendo a metà della pellicola e avendo il buon gusto di sparire alla sua fine. La pellicola introduce nuovi personaggi e amplia l’immaginario della saga, prestandosi a futuri sequel nel quale il vecchio androide da combattimento potrebbe permettersi al massimo un flashback o una comparsata.

E proprio questo, forse, il vero limite di questa saga, per come si è evoluta con questo ultimo film. Terminator non è più essenziale. E la storia, nella sequenza dei film che si susseguono, tende a perdersi, nel sovrapporsi di universi paralleli dove diversi futuri si intersecano, e nei quali è sempre più difficile orientarsi. E nei quali la magia della prima pellicola è ormai sparita, sostituita da un turbinio di effetti speciali e dal susseguirsi di scene mozzafiato. Rimane solo il marketing.

Per favore, lasciateci i nostri vecchi eroi e inventatene di nuovi, se ne siete capaci.

Alessandro Marotta

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