Questa serie TV horror/mistery made in Italy, disponibile su Netflix, ruota intorno al tema del dopplegänger, termine tedesco che allude all’esistenza di un gemello maligno, situazione che nella letteratura, nel folclore e nella mitologia è una delle rappresentazioni dell’eterna lotta del bene contro il male. Nel cinema questo concetto ha visto innumerevoli trasposizioni, a cominciare dalle numerose pellicole girate sul Dr. Jeckyll e Mr. Hide, tanto per citare uno degli esempi più conosciuti.
La serie TV deve il suo nome all’omonimo paese del trentino Alto Adige, situato a circa 5 km dal confine austriaco, una location affascinante , visivamente associata al campanile che emerge dalla superficie del lago di Resia. Un manufatto del Trecento sacrificato per creare un lago artificiale nel Dopoguerra italiano. La serie reinventa una storia soprannaturale su un dramma molto terreno e umano: la distruzione di un paese per realizzare un bacino idrico per la produzione di energia elettrica.
Nonostante il fatto che le campane siano state rimosse settant’anni fa, una leggenda locale racconta che nelle giornate più ventose si sente comunque ancora il loro rintocco. E su questa narrazione legata al folclore locale è stata sviluppata questo thriller metafisico, articolato in sette episodi.
Una storia basata sulla contrapposizione tra opposti
Il racconto comincia con il ritorno da Milano nella piccola Curon Venosta di Anna (Valeria Bilello) e dei suoi due figli gemelli, Mauro (Federico Russo) e Daria (Margherita Morchio). Una classica riproposizione del conflitto tra l’asettica civiltà metropolitana e le vecchie tradizioni che resistono nella periferia agreste e provinciale.
L’accoglienza non è delle migliori. Il padre di Anna (Luca Lionello) le fa subito capire di avere commesso un errore. Perché sulla sua famiglia, come del resto su tutto il paese, pesa un oscuro passato e aleggia una terribile maledizione. Anna capirà ben presto che il padre ha ragione.
La storia si concentra subito sui due figli, che hanno personalità opposte: Mauro è introverso, razionale e riflessivo, mentre Daria è esuberante e aperta a nuove esperienze. Superata l’iniziale diffidenza dei nuovi compagni di scuola, i due cominciano un difficile percorso di integrazione con la comunità locale.
Un cammino accidentato, visti i profondi pregiudizi degli autoctoni nei confronti della loro famiglia, che ben presto si ferma, a causa del precipitare degli eventi. E lo stesso microcosmo di Curon ripropone la classica contrapposizione tra la relativa normalità del centro abitato e gli inquietanti boschi che lo circondano, popolati da lupi. Ma non è certo dei lupi che i protagonisti dovranno preoccuparsi.
La storia vede poi una profonda contrapposizione tra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti, cosa abbastanza naturale per una serie di questo tipo. Il conflitto generazionale è uno dei motori narrativi delle vicende che accadono a Curon, reso più inquietante dalla presenza dei dopplegänger, che inesorabilmente compaiono quando qualcuno eccede nel reprimere i propri impulsi. I conflitti interiori degli abitanti si traducono quindi spesso nell’azione distruttiva dei loro doppi. Spesso, ma non sempre. Perché alcuni dopplegänger, alla fin fine, poi così tanto cattivi non sono.
Curon: una onesta serie TV forse troppo bistrattata da certa critica
Insomma questa serie TV ripropone molti luoghi comuni e ambientazioni già viste in altre produzioni, ma viviamo in mondo multimediale e interconnesso dove ormai produrre qualcosa di veramente originale è pressoché impossibile, vista la sterminata produzione cinematografica che è stata fatta a partire dalla fine dell’Ottocento.
In questo contesto la bravura dei creativi consiste giocoforza non tanto nell’inventare qualcosa di veramente nuovo, ma di risassemblare in modo creativo e godibile elementi che qualcuno ha già inventato. Quentin Tarantino ha prodotto capolavori facendo questo, in fin dei conti, come da lui stesso dichiarato.
Leggere in alcune recensioni che Curon è un prodotto modesto perché avrebbe copiato – tra le altre cose – dallo Shining di Kubrick l’ambientazione dell’albergo del padre di Anna fa quindi francamente sorridere. Certo, non stiamo parlando di un capolavoro destinato a rimanere scolpito nell’eternità, ma si tratta di un onesto prodotto a basso budget, senza macchia e senza lode.
Certo, la storia ha dei momenti di caduta del ritmo, la recitazione di alcuni personaggi alle volte è un po’ di maniera (molto brava però l’esordiente Margherita Morchio), ma nel complesso la narrazione è accattivante, complice anche un’ottima fotografia e la scelta delle suggestive location, ed è bello lasciarsi trasportare nei misteri di questo paesino sperduto sui monti.
Curon non fa certo dell’originalità la sua bandiera, ma riesce bene nel suo scopo: intrattenere piacevolmente il pubblico per qualche ora. Facendo anche vedere in tutto il mondo uno scorcio della nostra bella Italia. Attendiamo il suo seguito.
Alessandro Marotta