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“Itis Galileo” al Verdi di Gorizia: tutto esaurito per il genio di Paolini

C’è fame, ancora. E sete, anche. E non sono questi, soltanto, quei desideri bestiali e quasi primordiali, ancorché necessari, che l’uomo deve assecondare per sentirsi appagato, e in vita. C’è fame, ancora, e sete, anche, ma di cultura, di sapere e di conoscenza. Una cultura libera, che non ha colore né bandiera, che non viene impartita dogmaticamente dalle istituzioni e da quegli insegnanti eruditi, polverosi accademici, che riferiscono soltanto nozioni e formule precostituite. Una cultura che diventa cibo quotidiano predisposto per una tavola a cui tutti possono avere la possibilità di sedere, indipendentemente dalla preparazione e dai condizionamenti, dalla race, dal milieu e dal moment storico, per il solo fatto di essere degli esseri pensanti, creatori di idee, veri artisti del pensiero, libero.

E’ in fondo questo il messaggio che viene tràdito dal racconto dell’esperienza di Galileo: un uomo che, prima di essere il padre della scienza moderna, manifesta tutte le debolezze e le meschinità della sua indole, ma che con mente aperta, fino al termine della sua vita, servo anche al dubbio, quasi un cartesiano metodico, conscio di poter sbagliare anche nell’ambito in cui emerge come genio (sulle cause effettive del manifestarsi delle maree), o di poter accondiscendere ai prestiti euristici di chi come lui è dedito alla sperimentazione (il cannocchiale che gli olandesi al tempo costruivano con perizia già prima di lui), non smette mai di votare se stesso alla conoscenza e alla ricerca, forse solo più accorto dinnanzi ai suoi delatori rispetto al coevo Giordano Bruno.

Una narrazione monologica che per tutta la sua durata lascia col fiato sospeso senza possibilità di distrazione, quella del talento di Paolini che, come ultima sfida teatrale, sceglie di raccontare la vita di Galileo, servendosi immancabilmente della sua originale ed amabile arte scenica e della sua indiscutibile maestria nel saper rendere tematiche complesse accessibili ad un pubblico vasto ed eterogeneo.

Ieri al Verdi di Gorizia, dove lo spettacolo è tornato dopo due anni di tournée in tutti i teatri italiani, “Itis Galileo” ha registrato il sold out: l’attore è riuscito ad umanizzare una figura che spesso rimane intrappolata fra le catene cronologiche dei libri di scuola, lontana dal quotidiano, ammuffendo tra le carte di manoscritti che nessuno comprende; Paolini ironizza, facendo accenno anche all’attualità, liberando il matematico dalle oscurantistiche visioni che lo rendono oggetto di studio per soli specialisti, anche di quelle, forse più difficili da illuminare, dell’era post-Inquisione. E’ così che attraverso una scenografia essenziale, ornata solo dall’incantesimo della parola dell’autore, veniamo catapultati in un’epoca in cui per poter esprimere un’idea nuova e contraria alla morale condivisa si correva il rischio di perdere anche la vita: una gigantesca sfera che come un pendolo troneggia al centro del palco, retta da quelle catene che sembrano simboleggiare i limiti imposti dalla “vecchia scuola” cui s’oppone Galileo, le luci di una candela e quelle artificiali delle stelle dall’alto, una gigantografia calata sullo sfondo e raffigurante degli appunti di una notte trascorsa ad osservare Giove.

Tra silenzi, improvvisazioni, accellerazioni e sospensioni, battute improvvise ed interazioni con la platea, Paolini fa nascere il desiderio di leggere il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, quando oggi nessuno ha il tempo neppure di sfogliare un libro, né ancor meno di disquisire su ciò che accade al di fuori del nostro pianeta, perché neppure alza il proprio sguardo al cielo. La cultura irrompe a teatro, ma lo fa liberamente, e senza dogmi, rendendo amichevoli confidenti le sue storie e le sue tradizioni, e compagne di tutti, senza noia, senza asperità, ma col sorriso sulle labbra.

 

Ingrid Leschiutta

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