La gialla cotogna di Istanbul è la canzone di due innamorati: a Sarajevo negli anni ’90 sboccia l’amore fra Maximilian Von Alternberg, ingegnere austriaco e la tenebrosa Maša Dizdarevic. In quel crogiolo di razze, di culture, di lingue e di persone si sviluppa un viaggio mirabilmente raccontato, anzi cantato, dallo scrittore triestino Paolo Rumiz, narratore ieri sera sul Palco del Teatro Bon a Colugna di Tavagnacco assieme a Ornella Serafini (canto), Cristina Verità (violino, canto), Daniele Furlan (clarinetto) Orietta Fossati (tastiere) e Alfredo Lacosegliaz (tamburitza, aggeggi).La scrittura secondo il protagonista della storia è un atto notarile. Ma la scrittura di Rumiz, fatta di endecasillabi, diventa per una sera voce, musica, suoni, profumi, sapori: fra minuti gialli di follia e patti sigillati con il silenzio, sere dolcissime color zafferano e zampilli color rubino. La storia si sviluppa fra Vienna e il Bosforo ma al centro c’è Sarajevo: una Sarajevo che sotto la neve diventa “macerie vestite da sposa”. Tutt’altra Sarajevo rispetto a quella che possiamo vedere in queste settimane sul grande schermo, raccontata per immagini dalla premiata ditta familiare Castellitto/Mazzantini in “Venuto al mondo”, assolutamente vuota rispetto alle meraviglie che riesce a farci immaginare il “viaggiatore” Rumiz. Ne “La cotogna di Istanbul” ci si accorge che l’amore regna sovrano quando per la prima volta il protagonista riesce a coniugare il verbo “mi manchi” o un bacio è così lungo che un barbone teme che i due innamorati siano rimasti congelati; o se si arriva a raggiungere il treno alla penultima fermata per potersi vedere un po’ prima. Tristezza aleggia durante tutto il reading musicale: ma gli eventi si incastrano in maniera così dolce che l’amaro si dimentica in fretta. Un racconto di amore e morte ricco di musicalità proveniente dai Balcani e dal Danubio, sicuramente una perla nella stagione teatrale ERT Friuli Venezia Giulia. Applausi a ripetizione per gli interpreti da parte di un pubblico caloroso che ha fatto registrare il tutto esaurito.
C. Trevis