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L’angelo dei Muri: recensione del film di Lorenzo Bianchini

L’angelo dei Muri: recensione del film di Lorenzo Bianchini

Il monotono tran tran di un vecchio solitario che vive in un immenso e polveroso appartamento viene scombussolato quando un ufficiale giudiziario gli notifica che è stato sfrattato.

Anziché abbandonare la sua decrepita residenza, l’anziano decide di ricavare una piccola stanza al suo interno, accessibile da una griglia di areazione, e di rifugiarvisi in attesa degli eventi.

Ben presto arrivano i nuovi inquilini: una giovane donna single con la sua bambina, che purtroppo sta progressivamente perdendo la vista a causa di una malattia incurabile.

Il vecchio ricava alcuni buchi nei muri nel suo rifugio, dai quali osserva la vita dei nuovi venuti. La bambina si rende ben presto conto della presenza dell’anziano, tanto da credere che questi sia un angelo, venuto a darle una mano.

Ma le cose non sempre sono come sembrano essere, e il twist finale rimescola tutte le carte…

Pierre Richard in L'Angelo dei Muri

Pierre Richard in L’Angelo dei Muri

L’angelo dei Muri: un film molto lento ma accattivante, curato nei minimi dettagli

Bianchini ha realizzato una pellicola che scorre con molta lentezza, per meglio immergere lo spettatore nell’atmosfera surreale che permea l’appartamento nel quale si sviluppa la storia.

Un film che trasmette benissimo la sensazione di solitudine assoluta nella quale vive immerso il protagonista, che di fatto non pronuncia neanche una frase di senso compiuto durante tutta la narrazione.

Del resto in questa storia rarefatta i dialoghi sono scarni ed essenziali, mentre sono le immagini, le musiche e i suoni gli strumenti utilizzati principalmente da Bianchini per trasmettere allo spettatore forti suggestioni.

La fotografia è estremamente curata, giocando continuamente con le luci e e con le ombre, creando efficaci effetti visivi con l’acqua che scorre sulle finestre e con i suoi riflessi all’interno dell’appartamento.

La storia è ambientata in una Trieste sferzata dalla bora e dagli acquazzoni, i cui echi all’interno dell’abitazione contribuiscono a creare un atmosfera inquietante e misteriosa.

Bianchini è molto bravo nell’uso della soggettiva e di arditi piani sequenza, che esplorano i più reconditi recessi del misterioso e inquietante appartamento. Molto apprezzabile anche la cura nei dettagli di quanto inquadrato, a cominciare dalla scelta dell’arredamento e dell’oggettistica dell’abitazione.

L’angelo dei Muri: una pellicola fuori dalle logiche mainstream che richiede uno sforzo da parte dello spettatore per essere apprezzata

Insomma questo lavoro di Bianconi esce completamente dalle logiche a cui ci ha abituato il cinema mainstream: niente effetti speciali esasperati, niente scene gore, niente ritmi forsennati, niente splatter, niente politically correct. Finalmente.

In compenso la pellicola è piena di indizi che richiedono un certo sforzo cognitivo da parte dello spettatore per essere colti e apprezzati, in preparazione del twist finale, la cui struttura può essere intuita dal cinefilo esperto dopo avere visto circa un terzo della storia.

Un film realizzato con un pugno di attori e in pratica girato in un’unica location, perché a parte qualche scena in esterno all’inizio del film tutta la storia si svolge all’interno della decrepita abitazione.

Da un certo punto di vista è forse lo stesso appartamento il vero protagonista del film, la cui labirintica struttura è una metafora dei meccanismi mentali e dei ricordi del vecchio autorecluso, interpretato da un bravissimo Pierre Richard, perfettamente calato in un personaggio lontanissimo dai ruoli che interpreta abitualmente.

Perché l’Angelo dei Muri non è solo un film centrato sul dramma della solitudine, ma anche sui fantasmi interiori che spesso dobbiamo affrontare nelle nostre esistenze.

Un film che è difficile etichettare in modo netto, collocato in zona imprecisata tra il thriller, l’horror e il metafisico.

Un film che comunque vale la pena di vedere, specie per chi ne ha le scatole piene della solita minestra riscaldata che spesso ci sbologna il cinema mainstream. Bravo Bianchini.

Alessandro Marotta

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