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“L’invenzione della solitudine”

13 dicembre 2013
Udine, teatro Palamostre

Lo spettacolo era ospite della STAGIONE TEATRO CONTATTO

Serata con Giuseppe Battiston
“L’invenzione della solitudine” di Paul Auster.

Sfatiamo subito il “Nemo profeta in patria”, perchè vuoi la curiosità intorno all’attore dal vivo, vuoi la collezione di ottime cartoline interpretative, Battiston tornando a casa è stato accolto con il giusto calore: teatro sold out e tutti col fiato sospeso a cogliere le sfumature del suo recitare fino agli applausi scroscianti finali. Molto impegnativo il testo ma l’interprete lo ha sgarbugliato sul palco come quando da un groviglio di lana, che può simboleggiare l’insieme dei sentimenti nascosti e sconosciuti in ognuno di noi, si riesce a trovare la cima giusta che produce un gomitolo ordinato .
Il protagonista della storia gode il privilegio che tanti hanno a metà della propria vita: essere sia figli che padri e da questa posizione poter passare da una parte all’altra dello specchio dell’esistenza studiando così sia un ruolo che l’altro. Capire quindi che gli errori che noi abbiamo notato nei nostri padri, probabilmente dovuti da ciò che a loro volta subirono sulla loro pelle, altro non erano che una inevitabile scorciatoia per dribblare il dolore e cercare un modus vivendi più stabile.
Scoprire da ciò che resta dopo un lutto che gli oggetti raccontano spicchi di vita che si gusta un pò alla volta e uno dopo l’altro ci spiegano una persona che credevi di conoscere o pensavi di poter giudicare ma che spicchio dopo spicchio capisci che alla fine tutto quello che hai trovato non è più il frutto che eri sicuro di avere già assaggiato. Allora ciò che trovi nella casa di tuo padre appena morto non è ciò che ti aspettavi da quell’uomo, scoprire dal suo modo di vivere che la sua vita era un film che tu non avevi mai visto o non volevi vedere e di conseguenza, pensando che anche tu sei un padre, non puoi che riversarti su tuo figlio capendo meglio, forse, il ruolo esatto di chi è genitore.
Tutte queste variabili e complicate linee del cuore e del vivere quotidiano non erano facili da narrare a parole, ma nei pochi gesti di Battiston (solo in scena per più di un ora) che sistema abiti ,scarpe e foto paterne come chi fa il cambio si stagione della propria vita, tutto si srotolava con grande intensità.
La scenografia lo aiutava a dare il senso dell’introspezione e del passaggio dentro e fuori dalla propria esistenza perchè il grande specchio inclinato appeso sbilenco sulla scena, permetteva all’attore (grazie ad un sapiente gioco di luci) sia di specchiarsi, e quindi guardarsi dentro, sia di passare al di là ed essere visto in trasparenza. Attraverso il filtro del nostro sguardo vediamo veramente tutto ciò che appare o c’è dell’altro che non possiamo o non vogliamo vedere per troppa fatica o troppo male? Non ci da una soluzione Paul Auster ma probabilmente “l’invenzione della solitudine ” è una via di fuga.
Battiston riempie la scena di tante sensazioni, senza clamore immediato, con una interpretazione che lascia una scia di domande non risolvibili alla chiusura del sipario ma che ci accompagneranno a lungo se è pur vero che ragionare e pensare fa ancora la differenza. Diciamo pure che ” l’esperienza Battiston” ha prodotto un buon vino all’invecchiamento, non buonissimo subito, magari duro al primo assaggio, ma che ti lascerà nel tempo un gusto e un ricordo intenso.

Pensateci e pensatemi

Al. Ga.

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