Roland Emmerich in questa pellicola ha raccontato quanto avvenuto nella Seconda Guerra Mondiale nel teatro del Pacifico, a partire dall’attacco giapponese a Pearl Harbour fino alla riscossa statunitense nella battaglia delle Midway. La ricostruzione dei fatti è ineccepibile, ma non si può dire altrettanto di quella dei protagonisti di quegli eventi, trasformati in eroi da fumetto.
Anche le scene di combattimento, perfette in fatto di fedele ricostruzione dei mezzi bellici utilizzati e delle manovre eseguite sul campo di battaglia, alla fine vengono banalizzate in una specie di videogioco, dato lo spessore monodimensionale dei personaggi, schiacciati nel loro ruolo di combattenti muscolari dal volto squadrato e dalla mascella prominente.
L’unico svago concesso ai nostri eroi è scambiare qualche parola con la moglie, sempre dipinta come fedele compagna o madre di famiglia. E magari masticare un chewing gum tra un massacro e quello successivo. Va comunque detto che Emmerich non indugia mai in scene splatter o raccapriccianti. Gli uomini muoiono a centinaia negli aerei in fiamme o nelle esplosioni che squarciano le navi da battaglia, affogano intrappolati negli abitacoli dei loro siluranti che si inabissano, ma hanno la decenza di farlo lontano dall’occhio della cinepresa. Come accade nei film di propaganda bellica, del resto.
Un film che esalta il valore dei combattenti a scapito di tutto il resto
In definitiva il film mette al centro la figura del prode combattente che si sacrifica per la propria Patria e vendica i compagni morti in battaglia. Le poche debolezze umane messe in scena vengono prontamente superate, grazie alle superiori doti morali dei protagonisti o al radioso esempio dei commilitoni ansiosi di gettarsi nella mischia e massacrare l’odiato nemico.
L’attacco giapponese a Pearl Harbour del 1941 venne lanciato senza preventiva dichiarazione di guerra, e ha lasciato una grossa impronta nell’immaginario collettivo statunitense. L’allora Presidente Franklin Delano Roosvelt, nel suo discorso alla nazione, etichettò quel drammatico evento come il giorno dell’infamia, e nell’opinione pubblica del tempo si creò un forte odio contro i giapponesi.
Anche se il punto di vista del film è quello statunitense, va detto che Emmerich omaggia anche i combattenti del sol levante, specie gli alti ufficiali, cui riconosce un alto senso dell’onore e un encomiabile spirito di sacrificio. Certo, c’è anche il giapponese che non esita a gettare in mare, legato a un’ancora, un pilota americano raccolto su un barchino di salvataggio, perché si rifiuta di rivelare la posizione della sua flotta, ma nel complesso il regista strizza l’occhio alla filosofia etico-filosofica dei samurai, di cui la cultura giapponese era, ed è, intrisa.
Tuttavia, per quanto Emmerich pigi il piede sul pedale del patriottismo, è difficile immedesimarsi nei personaggi rappresentati, privi di spessore psicologico e scarsamente caratterizzati. La loro unica evoluzione possibile nella storia narrata è diventare eroi. Vivi o morti, non ha importanza.
L’omaggio interessato di Emmerich alla Cina
Il film dà molto rilievo a un episodio della guerra nel Pacifico: il bombardamento di Tokio da parte di 16 bombardieri medi North American B-25 Mitchell, partiti dalla portaerei Hornet e comandati dal tenente colonnello Jimmy Doolittle. Si trattò di un’azione dimostrativa, dagli effetti militari pressoché nulli, ma dal forte impatto emotivo, in quanto si trattò di una missione mirante a sollevare il morale statunitense e a lanciare un preciso messaggio al Giappone: gli USA avrebbero combattuto fino all’ultimo uomo, nonostante la temporanea situazione di inferiorità provocata dal vile attacco a Pearl Harbour.
Dal momento che Doolittle e i suoi eroi non disponevano del carburante per tornare indietro, essi dovettero lanciarsi sulla Cina. A questo evento secondario Emmerich lascia ampio spazio nel film, e la cosa curiosa è che alcuni minuti della pellicola vengono impiegati per mostrare allo spettatore il valore dei combattenti cinesi, impegnati a difendersi dall’attacco giapponese. Cosa molto strana, nell’economia di un film che dovrebbe mettere in scena la battaglia delle Midway.
Ma questo omaggio acquisisce significato se teniamo conto del fatto che Emmerich, per realizzare questo film, ha ottenuto finanziamenti dalla Cina. E questo non poteva non avere effetti sulla pellicola stessa. Ennesimo esempio di come cinema e società sono inestricabilmente intrecciati, e ogni film per essere bene compreso andrebbe sempre analizzato tenendo conto del contesto nel quale è stato girato. Gli equilibri geopolitici e i flussi finanziari globali stanno cambiando, e questo fatto si riflette anche nei blockbuster.
Gli effetti speciali, la forza e la debolezza di Midway
Il punto di forza di questa pellicola risiede negli effetti speciali. Per gli appassionati del genere di guerra, che vogliono godersi due ore di battaglie perfettamente ricostruite, ignorando la natura umana di chi nelle navi e negli aerei moriva o rimaneva ferito, spesso in modo raccapricciante, questa pellicola è una manna dal cielo. Gli effetti visivi sono alquanto coinvolgenti, anche se non superlativi, e se lo spettatore pensa di guardare un videogioco, e non di assistere a quella che dovrebbe essere la ricostruzione di fatti storici, la cosa può anche essere piacevole.
Discorso diverso vale per chi vorrebbe farsi coinvolgere anche dalla dimensione umana di chi ha combattuto quelle battaglie. Qualcosa che vada oltre l’occhiata del pilota alla foto della famigliola, appiccicata col chewing gum nella cabina del proprio aereo, mentre vola contro il nemico, circondato dalle esplosioni dell’antiaerea avversaria e dai velivoli in fiamme della sua stessa squadriglia.
Perché dopo la quarantesima spettacolare picchiata sulle navi giapponesi, viste in soggettiva dalla cabina di un bombardiere in picchiata Douglas Dountless, magari uno ne ha anche le scatole piene. Anche perché nel film non c’è molto altro da vedere.
Un film interessante per i videogiocatori e per gli appassionati degli aeroplani della seconda guerra mondiale
In definitiva Midway, nonostante i cento milioni di dollari spesi e un cast molto nutrito, appare essere un prodotto alquanto modesto, cinematograficamente parlando. Potrebbe essere un discreto film di propaganda statunitense degli anni Quaranta, dove i combattenti a stelle e strisce vengono dipinti come maschi alfa ansiosi di gettarsi nella mischia, per vendicare l’affronto subito dalla Patria.
Dove il loro valore permette di compensare l’inferiorità numerica e tecnologica che in effetti gli USA hanno temporaneamente patito dopo l’attacco di Pearl Harbour, che originò il conflitto reale e che ha messo in moto anche il meccanismo narrativo del film, basato sulla necessità di vendicarsi dei giapponesi.
Se lo spettatore si dimentica del fatto che questa pellicola dovrebbe essere una ricostruzione storica della guerra del Pacifico, e la sua unica aspettativa è perdersi in un videogioco dal ritmo serrato, magari si diverte anche. Considerazione analoga vale per gli appassionati di aeroplani della seconda guerra mondiale, perché la loro ricostruzione nel film è ineccepibile.
Certo che magari andarli a vedere in un museo sarebbe meglio. Perché il cinema dovrebbe avere altri obiettivi.
Alessandro Marotta