“Leila” è una visione, un punto di vista stando sollevati dalla terra, leggeri e sospesi. Un album che parla anche di semplicità nell’astrazione della quotidianità. L’apnea dopo un grande respiro. Una sospensione accogliente, come quella di un Dondolo, non a caso titolo del primo singolo estratto dall’album in uscita 13 maggio per Lapidarie Incisioni.
“Leila” non è un album frutto di un’acerba urgenza comunicativa: è il naturale passo di una giovane artista che ama scrivere e viaggiare. Trentatré anni, formazione all’Università della Musica e al Conservatorio di Frosinone e vita vissuta nei più disparati ambienti: questo è tutto quello che la cantautrice romana ha messo dentro le sette tracce del suo primo, omonimo disco, che fanno da specchio a una cultura famelica quanto composita. A trent’anni – dichiara Leila – ho incontrato a Roma le persone giuste con le quali esprimere la mia creatività. È dalla partecipazione alle attività di Lapidarie Incisioni che è nata la mia velleità discografica.
Cantato in italiano, fatta eccezione per Let me get in, “Leila” ha un respiro internazionale, quasi nord europeo. I testi sono spesso sintetizzati al minimo, quasi ossessivamente ripetitivi e surreali come in Mondo mio. Non è chiaro quanto Leila giochi, o si prenda sul serio. In certi casi, come nei cori di Uh, o nei suoni di Sara, sembra tutto uno scherzo, la burla di una bambina dispettosa.Il pregiudizio è nemico dell’ispirazione e Leila, prima di comporre, è dovuta andare alla ricerca del vuoto, che non significa privazione, ma raggiungimento di un punto zero, dal quale si poteva solo che partire, per assimilare ciò che l’interno – e l’intorno – potevano regalare.
Come nel movimento oscillatorio del dondolo, che un po’ è fissato a terra, un po’ no, così Leila si avvicina a temi chiave dell’essere umano senza perdercisi mai dentro. “È l’espressione leggera della pesantezza – racconta l’autrice – Come una voce distaccata e sottile che gioca con temi complessi (il possesso, la solitudine, la depressione, il distacco) con leggerezza, a due metri da terra, come se non le riguardasse, sapendo bene che tutto è relativo”. Anche da questo deriva l’atmosfera glaciale ed eterea, ma mai fredda, del disco: è un gioco a ritrarsi in coscienza, un prendere e dare, una danza che regala e toglie.
I testi raccontano storie semplici, senza la presunzione di morali e insegnamenti. Ecco cosa risponde Leila alla domanda su ciò che l’ha ispirata: I cantautori italiani di oggi e del passato, i filosofi orientali, i poeti europei, russi, persiani, americani, la musica black, il pop delle radio, il simbolismo, il dream pop, il punk, il trip pop, l’indie, la musica psichedelica, il cinema surreale, la commedia italiana degli anni settanta, i cartoni animati, i fumetti giapponesi, la fantascienza, la narrativa italiana, lo yoga, l’alcool, lo specchio, la musica classica, la pittura del novecento, l’avanguardia elettronica berlinese, le stagioni, il deserto, il silenzio, la notte, l’amore libero, l’amore perso, l’amore definito dai fatti e quello definito dalle parole, la solitudine, l’astrofisica, la chimica, la psicologia, l’antropologia, la morte, la mente, il cuore, il viaggio, la campagna, l’Italia, Roma, il bar sotto casa, la mia generazione, le passeggiate senza meta, la stazione Termini, le seghe mentali, le paure, le strutture, i miei genitori, i miei fratelli, l’hip hop.I brani sono stati scritti e prodotti nell’arco di un anno dalla cantautrice stessa al fianco di Federico Leo e Lucio Leoni (quest’ultimo titolare di Lapidarie Incisioni). Inoltre, come spesso accade, la semplicità apparente è in realtà il risultato di un grande lavoro di squadra: Francesco Saguto alla chitarra, Federico Leo alla batteria, Carmine Iuvone al basso, violoncello e il basso ukulele e Dario Colozza, in arte Ynaktera, a cui si deve la parte elettronica.