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Oxygène: recensione del thriller fantascientifico di Alexandre Aja su Netflix

Oxygène: recensione del thriller fantascientifico di Alexandre Aja su Netflix

Oxygene

 

Elizabeth (Mèlanie Laurent) si risveglia improvvisamente in quella che ben presto si rivela essere una capsula criogenica. Non può uscire. Non riesce a vedere l’esterno. Non ricorda nulla del suo passato, se non qualche sporadico flashback alquanto fumoso.

Non può muoversi, se non con estrema difficoltà, perché avvolta da un sudario ipertecnologico alla quale è connessa tramite una rete di tubi, cavi e cinghie.

Una situazione angosciante, resa sempre più drammatica dal fatto che ben presto comincia ad avere problemi respiratori: l’ossigeno è in calo costante e basterà per solo altri cento minuti.

Elizabeth può comunicare solo con MILO, il computer che gestisce tutti i dispositivi che la hanno fino a quel momento tenuta in vita.

Cerca disperatamente di scoprire prima la propria identità e poi di sapere come possa essere finita in una situazione tanto insostenibile. La verità emerge lentamente, ma è dura da digerire.

Oxigène: un thriller claustrofobico in tempo reale

Elizabeth ha solo 100 minuti di ossigeno a sua disposizione: esattamente la durata del film, che di fatto permette di seguire in tempo reale le vicende della protagonista, senza mai uscire dalla capsula criogenica, se non per qualche flashback dei suoi vaghi ricordi.

Una storia claustrofobica angosciante, simile a quella narrata da Buried – Sepolto, del 2010, di Rodrigo Cortés, nel quale il protagonista, Paul, si ritrova sepolto vivo in una cassa di legno, e deve trovare il modo di scappare prima che sia troppo tardi.

Alexandre Aja ambienta il suo racconto in un contesto completamente diverso, ipertecnologico e futuribile, ma raccoglie comunque la sfida di ambientare il suo film in uno spazio tanto ristretto, e lo fa con molto mestiere.

Onore al merito anche a Mèlanie laurent, che di fatto sostiene tutto il peso della recitazione, riempiendo quasi tutte le scene del film.

Oxigène: un altro film figlio della pandemia da COVID-19

Il protagonista di Buried – Sepolto è un civile nordamericano, rapito in Iraq da terroristi che vogliono un cospicuo riscatto. Un film che può essere visto come una metafora della situazione in cui le truppe statunitensi si sono trovate a vivere per rovesciare il regime di Saddam Hussein.

Alexandre Aja ha attualizzato, proiettandolo in un angoscioso futuro, uno dei temi classici dell’horror, che forse trova le sue radici letterarie nel racconto La Sepoltura Prematura, del 1844, di Edgar Allan Poe:

Essere sepolti vivi è senza dubbio il più terribile tra gli orrori estremi che siano mai toccati in sorte ai semplici mortali. Che sia avvenuto spesso, spessissimo, nessun essere pensante vorrà negarlo. I limiti che dividono la Vita dalla Morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l’una e cominci l’altra?”

In Oxigène l’angoscia di trovarsi sepolti vivi e non potere più respirare lascia ben presto il posto alla curiosità di capire cosa sia successo alla protagonista. A mano che la storia si dipana, si capisce quanto questa pellicola sia figlia del proprio tempo, in cui la mancanza di ossigeno è forse metafora della vita isolata e claustrofobica in cui l’era dei lockdown da COVID-19 ci ha costretti.

In un mondo nel quale alcuni scenari fino a poco tempo fa futuribili e fantascientifici, come la clonazione, la possibilità di ibernarsi e la lotta contro epidemie devastanti, sembrano essere sempre più reali e vicini a noi.

In un mondo nel quale il progresso medico e tecnologico e il cambiamento sociale rendono sempre più vaghi e confusi i limiti che dividono la vita dalla morte.

Oxigène: un film che vale la pena vedere

Alexandre Aja ha confezionato un buon prodotto, unendo con mestiere idee non originali (ma chi è in grado di produrre ancora idee veramente originali, dopo oltre un secolo di film?) mettendo in scena una storia molto impegnativa dal punto di vista cinematografico.

Diciamolo pure: ambientare praticamente tutto il film in quella che in definitiva è una bara – sia pure ipertecnologica – e utilizzare un solo personaggio – peraltro in una storia che si snoda in una singola unità spazio-temporale – sono scelte difficili che pochi hanno affrontato.

Tanto di cappello anche alla brava Mèlanie Laurent, che divide la scena con la voce di MILO, personaggio virtuale che ricorda molto l’indimenticabile HAL di 2001 Odissea nello Spazio, il cult del 1968 di Stanley Kubrick.

Un film interessante, che vale la pena vedere, che ancora una volta testimonia come il cinema di qualità ha come suo crescente punto di riferimento le piattaforme di streaming.

Alessandro Marotta

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