venerdì , 29 Marzo 2024
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Richard Galliano, c’era una volta una fisarmonica jazz

L’aria incantata e un po’ ingenua dell’artista di strada, la distrazione fra l’incertezza che agli astanti lascia credere nel non ricordare il nome d’un compositore al quale intende offrire un omaggio armonico, la vaghezza di qualche fonema, tinto di verde bianco e rosso, da cui lascia sfumare l’inconfondibile rotacismo di chi non cela la sua origine, quasi un cantore o un menestrello che richiama alla mente le sue doppie radici, rievocando anime antiche, francesi e italiane.

L’aria sicura e consapevole del grande artista, di chi percepisce come far vibrare finemente le corde delle platee e come far giocare danzando le note sul proprio strumento, liberando agilmente le dita come vortici sui tasti, fra gli ampi moti ondosi del mantice le mani ardite del grande musicista.

Richard Galliano, il più talentuoso fisarmonicista vivente, ha accompagnato piacevolmente la serata di ieri al Teatro Giovanni da Udine, con un repertorio decisamente vario che non ha potuto che attingere alla tradizione del cantautorato francese (E. Piaf, C. Trenet) e di quello italiano: paradigmatica la sperimentazione di “Caruso” di L. Dalla, rievocato in maniera spettacolare attraverso uno strumento a fiato simile all’armonica, ma provvisto di tasti che sostituiscono la funzione delle dita; l’accordina, creata appositamente negli anni Trenta per fare musica jazz, se non da romantici, non venne più utilizzata dopo gli anni Settanta. Rapito dal fascino del passato, Galliano ha ancora oggi come compagna, oltre a questa particolare fisarmonica a fiato tascabile, la vecchia Victoria realizzata a Castelfidardo, nelle Marche, regalatagli in origine dalla nonna italiana, immigrata in Francia.

Dolci carezze lievi, sfiorate, sicuri colpi scagliati, come su un tamburo, si sono susseguiti nelle linee di improvvisazione dell’intero concerto, fra le melodie guerresche e popolari del valzer musette, quelle di java,  ritmicamente definite in percussioni ed in levare, e le originalissime rielaborazioni del tango, colme di ridondanti virtuosismi jazz. (Eccezionale la performance di “ Libertango” d’ispirazione Piazzolla).

Grande successo, dunque, per colui che è riuscito a liberare lo strumento popolare per eccellenza da una consuetudine che lo estrometteva dall’esperienza del fraseggio improvvisato: esibizione godibile, quindi, quella di ieri, sia per gli artisti professionisti, sia per chi amasse semplicemente la musica in ogni sua estrosa espressione.

 

Ingrid Leschiutta

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