Recensione – In realtà nell’elegia per (due) giovani amanti di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman di amore ce n’è ben poco. L’amore è un pretesto, un escamotage narrativo del poeta, un esperimento atto a servire l’ispirazione letteraria di Gregor Mittenhofer. Costui è un personaggio ambiguo, un venerabile maestro della poesia, viziato e capriccioso, in debito di creatività, che sacrifica al proprio ego le vite di chi gli sta accanto, quasi parassitandone i sentimenti. Prima si serve delle visioni di Hilda Mack, una vecchia pazza che da quarant’anni attende il suo innamorato disperso tra i ghiacci, poi dei giovani Elisabeth e Toni, che egli stesso spingerà verso una morte che gli servirà da tema per la propria elegia.
Il tutto narrato dalla musica di Hans Werner Henze, geniale senz’altro, soprattutto negli impasti timbrici, caratterizzata da uno stile polisintattico che sintetizza le istanze dell’avanguardia (stiamo parlando della seconda metà del XX secolo) con un linguaggio più convenzionale e retroguardista.
Elegy for young lovers arriva al Teatro Malibran di Venezia in un allestimento interamente firmato da Pier Luigi Pizzi che piace ma non travolge. La scena fissa per l’intera durata dell’opera è l’albergo-prigione in cui sono costretti i protagonisti della vicenda, vittime designate dell’ego inappagabile del poeta. Tutto è molto curato, dalla recitazione alle luci, tuttavia, complice il linguaggio affatto peculiare della musica di Henze, riesce difficile scansare un senso di rigidità della narrazione, in larga parte imputabile al gusto leggermente sorpassato dello spettacolo. L’algida astrattezza delle scene, certe ingenuità della regia, l’immobilismo eccessivamente protratto di parecchi passaggi, finivano per lasciare un senso di incompiutezza nella realizzazione dell’opera, quasi la ricerca estetica e, per così dire, intellettuale, avesse spesso prevalenza sul teatro.
Viceversa l’esecuzione musicale convinceva pienamente. Merito innanzitutto della direzione nitida e attenta di Jonathan Webb, cui può essere rimproverata solamente un’eccessiva cautela nella gestione ritmica. Impeccabile la prova dell’orchestra del Teatro La Fenice.
Protagonista era il basso Giuseppe Altomare, Gregor Mittenhofer di buon volume e autorevole presenza scenica. Gladys Rossi era un’eccellente Hilda Mack per intensità attoriale e qualità musicale. Ottima Zuzana Marková, Elizabeth Zimmer di bella voce e figura. A dispetto di uno strumento non più freschissimo Roberto Abbondanza disegnava un Dr. Wilhelm Reischmann assolutamente convincente. Positiva la prova del tenore John Bellemer nei panni di Toni Reischmann mentre Olga Zhuravel, Carolina von Kirchstetten, lasciava alcune riserve in ragione di una vocalità spesso in debito di volume.
Paolo Locatelli
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