“L’inferno sono gli altri”. A porte chiuse – Dentro l’anima che cuoce di Jean-Paul Sartre, al teatro Galleria Toledo dal 28 al 30 novembre – nell’adattamento drammaturgico di Andrea Adriatico e Stefano Casi e con l’ottima interpretazione in scena di Francesca Mazza, Teresa Ludovico, Gianluca Enria e Leonardo Bianconi – è un’importante riflessione sull’uomo, a partire dalle intuizioni esistenzialiste del grande autore francese.
In pochi hanno ritratto le contraddizioni del modello borghese della società occidentale, tanto lucidamente quanto ferocemente, come Jean-Paul Sartre: la compagnia Teatri di Vita di Andrea Adriatico, seguendo il filo rosso che lega alla filosofia del Novecento, porta in scena un testo “dannato” nel quale i protagonisti, tre persone morte e il loro anfitrione, sono calati in un oltretomba laico e materico non dissimile dalla realtà, dove la convivenza forzosa è l’eterna condanna.
Andato per la prima volta in scena nel maggio del 1944, poco prima della liberazione di Parigi dall’occupazione nazista, la pièce è una durissima riflessione etica in cui l’essere umano, “condannato a essere libero”, è influenzato dalle proprie stesse azioni e nel far questo si rivela al contempo vittima e carnefice per sé stesso e per gli altri individui, libero nella prigionia della scelta soggettiva che discrimina tra bene e male.
Una via da percorrere, per spiegare e comprendere gli aspetti decadenti e disumani della nostra società in divenire, in cui è sempre e solo l’essere umano ad assumere una posizione centrale, a partire da una visione antropica che vede riflesse nelle azioni dei singoli la condizione dell’intera società: Nessuno è innocente. (G.T.)
“Due donne e un uomo, rinchiusi in un salotto per l’eternità. Quel salotto elegante e perbene è l’aldilà, e la loro convivenza è la condanna dopo la morte, perché “l’inferno sono gli altri”. Jean-Paul Sartre scrive A porte chiuse (Huis clos) nel 1944, firmando uno dei capolavori della drammaturgia europea: un serrato dialogo fra tre morti che protraggono la loro pena semplicemente rigettandosi in faccia verità scomode. Una metafora delle relazioni sociali e della stessa identità, formata dalla prospettiva degli altri. Un’intuizione che rimane sempre potente per la sua capacità di descrivere i rapporti umani, e dunque le aberrazioni e forzature del giudizio altrui, anche 70 anni dopo, nell’epoca in cui il “controllo” dell’altro passa impietoso e violento attraverso i media e i social network, definendo un “inferno globale” che è l’ambiente in cui viviamo.
Dopo gli “inferni” di Copi, Elfriede Jelinek, Koltès, Beckett o Pasolini, Andrea Adriatico approda all’opera più esplicita riguardante la pressione sociale come fonte di sofferenza per l’uomo della nostra epoca. E lo fa in una coproduzione che vede coinvolti Teatri di Vita, Akròama T.L.S. e Teatri di Bari, nell’ambito del VIE Festival.
Lo spettacolo rientra nel progetto Atlante: “progetto cervicale per chi soffre di dolori al collo, dolori da peso del mondo”, che si sviluppa attraverso gli spazi urbani. Dopo Bologna, 900 e duemila, prima tappa di Atlante negli spazi monumentali del capoluogo emiliano, ecco lo spazio tutto interiore e domestico di A porte chiuse, seconda parte del progetto.” (T.d.V.)
info t.+39 081425037 [email protected]
info t.+39 081425037