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TEATRO ROSSETTI :Ritorna in scena dal 9 gennaio Il tormento e l’estasi di Steve Jobs

Steve Jobs: un’icona del XXI secolo. Il suo ingegno ha cambiato il mondo, nessuno è rimasto escluso – nella nostra civiltà – dall’estetica e dagli agi della sua tecnologia. Di più: la sua utopia è stata determinante nell’immaginario collettivo. Basta pensare al suo celebre discorso agli allievi della Stanford University: «Siate affamati. Siate folli» esortazioni a non omologarsi, ad osare, che dal 2005 continuano a rimbalzare sul web.Come accade sempre per figure tanto straordinarie, anche quella di Jobs – e ancor più della sua Apple – presenta però dei lati oscuri e Mike Daisey, coraggioso drammaturgo americano, li evidenzia in un testo dinamico e acutamente critico.Proprio questa chiave di critica, di pensiero, di attualità mordente ha interessato il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia che dal 9 gennaio alla Sala Bartoli ripropone Il tormento e l’estasi di Steve Jobs affidato alla regia di Giampiero Solari e all’interpretazione di Fulvio Falzarano. Repliche fino al 12 gennaio alla Sala Bartoli prima di riprendere la tournée nazionale che toccherà anche Roma e Milano.Un tipo di teatro, dunque, che si fa strumento di discussione viva e che ha suscitato notevoli reazioni polemiche: la Apple ha dovuto fare delle precisazioni dopo le prime repliche dello spettacolo negli Stati Uniti, ma anche Daisey si è visto costretto a dare conto di alcune sue “interpretazioni artistiche” non proprio rispondenti al vero, tanto che il suo testo continua tuttora ad essere aggiornato e dettagliato.  Grazie alla traduzione e all’adattamento di Enrico Luttmann e alla sensibilità di un regista come Giampiero Solari attento al contemporaneo e dalla commistione dei linguaggi (alterna un’intensa attività teatrale a quella di autore e regista televisivo di notevolissimo successo), che è rimasto conquistato dal progetto, Il tormento e l’estasi di Steve Jobs viene applaudito anche in Italia.  Al carisma di Fulvio Falzarano il compito di farsi tramite delle riflessioni di Daisey, che intreccia la luminosa epopea di Jobs alla rivelazione del profilo inquietante e taciuto del “prezzo” pagato per quella tecnologia che ha cambiato il mondo. Il regista e l’attore hanno lavorato proprio sull’equilibrio non scontato fra la condivisibile ammirazione per Jobs e Apple e la necessità di conoscerne anche i lati più discutibili. «Il teatro non giudica – sostiene Solari – ma offre sulla realtà un diverso, importante punto di vista».Mike Daisey è un vero “adepto del culto di Mac”: possiede ipad, computer, iphone… è proprio in un esemplare nuovo di questi è contenuta la foto da cui tutto inizia. La foto è lì per caso, per errore… raffigura un capannone industriale, per certi versi inquietante. Tanto basta per suggerire a Daisey qualche indagine.

Indagini che si intrecciano all’ammirazione di Daisey per Steve Jobs e per le sue creazioni.

Inizia ripercorrendo entusiasta i traguardi di Jobs esternando le sue (e nostre) smanie per ogni nuova creazione con la “mela”. «Steve è stato bravissimo – scrive l’autore – ci ha costretto ad aver bisogno di cose che non sospettavamo nemmeno di volere». Però la sua utopia ci ha fatto anche sognare, le sue parole pronunciate agli allievi della Stanford University nel 2005 «Siate affamati. Siate folli» ci incitano ancora oggi a volare alto, a credere in un futuro costruito pensando al bene dell’uomo, a circondarlo di bellezza, libertà e funzionalità…Ma poi c’è quell’immagine, in fondo all’iPhone: c’è Shenzen, il lato oscuro di quella bianchissima tecnologia e stride violentemente con l’immagine di libertà e purezza che Jobs ha legato ai suoi oggetti tecnologici.L’autore indaga, si reca in Cina e scopre che l’assemblaggio dei nostri preziosi computer avviene in fabbriche dove non esistono tutela né diritti degli operai cinesi (o meglio, esisterebbero ma non vengono applicati), dove piccole mani di dodicenni puliscono i vetri degli iPhone con una sostanza tossica che provoca un invalidante tremore… 430.000 operai non sono altro che un “ingranaggio umano” destinato a produrre profitto, tanto che il problema dei suicidi dei lavoratori quando non è stato ignorato è stato risolto cinicamente installando reti sotto i capannoni.La Apple ci ha illuso? Può non essere consapevole di questo “lato oscuro”?Il tema è comunque di stringente, vivissima attualità: con particolare forza dallo scorso anno – casualmente proprio in concomitanza con l’esordio italiano dello spettacolo – gli operai di Shenzen hanno fatto sentire le loro voci, ma lo sfruttamento prosegue e non solo in ambito di tecnologia e non solo sul territorio cinese, come ci fanno comprendere alcuni recentissimi e dolorosi fatti di cronaca anche italiani.

 

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