Esiste un confine netto tra la vita e la morte o forse entrambe fanno parte di una stessa danza che fonde e confonde realtà, ricordo, finzione. E’ quanto ci si chiede assistendo allo straordinario spettacolo di Emma Dante “Le sorelle Macaluso” già vincitore del Premio Ubu 2014, andato in scena al Palamostre per la stagione di Contatto 33.
Una famiglia complicata, del sud, con tanti figli, sette sorelle un padre un po’ infantile, una madre dall’accento francese e un ragazzino bravo a giocare a calcio che avrebbe voluto essere come Maradona. Morti e vivi stanno sul palco assieme: si sta celebrando un funerale ma non si capisce fino alla fine chi è ad essere morto. A poco a poco come in tutte le riunioni di famiglia riaffiorano ricordi, gelosie, litigi, rimorsi e rinfacci. Le sorelle emergono dal buio più assoluto e con loro anche i ricordi di una giornata al mare, l’autobus, il caldo, le risate, la felicità funestata dall’annegamento della più piccola a causa di un gioco di resistenza sott’acqua. Il difficile rapporto tra il padre e la figlia responsabile dell’incidente che verrà mandata a vivere in istituto. Un nipote che pur di giocare a calcio soccomberà alla malattia di cuore. Una scuola di danza sbirciata dalla finestra e sognata da una delle donne.
Le sorelle sono sul palco proprio vicino agli spettatori e gli unici oggetti in scena sono le spade e gli scudi che verranno scoperti lasciando intravedere le lapidi con le fotografie dei defunti. Lo spettacolo è in dialetto siciliano e dopo poco l’orecchio si abitua ai suoni e dove non si comprendono i significati delle parole arrivano i movimenti, la gestualità estrema, la mimica facciale delle attrici e degli attori. Settanta minuti cui lo spettatore si immedesima nelle vicende di vita delle sorelle Macaluso ed è portato a riflettere sulla fragilità della vita umana e a chiedersi quanto delle persone morte rimanga nei vivi, frammenti di passato che non tornerà più ricco di bei ricordi ma anche di situazioni irrisolte.
Maria Teresa Ruotolo