L’ingegnere meccanico Norah Price (Kristen Steward) lavora nella stazione di trivellazione Kepler 822, della Tian Inustries, una gigantesca struttura adagiata nella Fossa delle Marianne, a circa 7 miglia di profondità. All’improvviso si scatena l’inferno, a causa di quello che all’inizio sembra essere un terremoto sottomarino.
Norah riesce a cavarsela, assieme a un manipolo di sopravvissuti, che include il capitano Lucien (Vincent Kassel). La situazione è disperata: il nocciolo del reattore nucleare che alimenta la stazione è in procinto di esplodere, le capsule di salvataggio non sono raggiungibili, anche il sottomarino della base è inservibile, la struttura è in procinto di collassare.
A mali estremi, stremi rimedi: l’unica possibilità per cavarsela è scendere sulla superficie oceanica e raggiungere a piedi la stazione Roebuck 641. Ma già nella discesa verso il fondo dell’abisso su un malfermo elevatore, i superstiti capiscono che c’è qualcosa che non va. Qualcuno, o qualcosa, sembra aggirarsi nell’oscurità. Ma il vero orrore li attende sul fondale oceanico.
Underwater: un b-movie che riprende tutti gli stereotipi del genere
La trama non è per niente originale, la situazione è simile a quella descritta in Creatura degli Abissi, e il film sembra rendere omaggio a innumerevoli pellicole analoghe che lo hanno preceduto. L’atmosfera che si respira all’inizio è quella di Alien, con i lunghi corridoi vuoti e male illuminati e i superstiti che si muovono in oscuri cunicoli. Anche la plancia di comando e la voce sintetica che risuona nell’aria, preannunciando sventure, avvicinano l’atmosfera del film a quella che si respirava sull’astronave Nostromo.
I mostri umanoidi sono simili a quelli di Cloverfield, mentre le creatura più grande deve molto anche a Deep Rising. Altre pellicole la cui storia è legata alla fuga da basi sottomarine messe in crisi da creature più o meno ostili, che vengono in mente guardando Underwater, sono Leviathan e The Abyss. Insomma, niente di nuovo.
I personaggi sono molto piatti e inconsistenti, con l’eccezione della protagonista, un’androgina Kristen Steward, che tuttavia all’inizio del film William Eubank si diverte a fare girare a piedi nudi nella base in disfacimento, concedendo una piccola dose di feticismo a questa pellicola.
Guardando la Noah Price di Underwater viene spontaneo pensare alla leggendaria Ellen Ripley di Alien. In realtà i due personaggi sono molto diversi. Mentre Noah è una persona in crisi che deve fare i conti con il suo passato, ritrovando sé stessa durante il film, Ripley è una autentica guerriera, capace di fronteggiare e sconfiggere mostri e androidi.
I componenti maschili del manipolo di sopravvissuti sono personaggi inconsistenti, a cominciare dal capitano Lucien, interpretato da uno sprecato Vincent Cassel. In Underwater l’iniziativa appartiene alle due donne del gruppo, Norah in testa, che da vera eroina giunge a sacrificare sé stessa per gli altri.
Underwater: una onesta pellicola per intrattenere il pubblico
Va detto che la mancanza di spessore dei personaggi non è un problema per questa pellicola, che è concepita per intrattenere il pubblico amante di questo genere, e non certo per riflettere sulla natura umana o ragionare sul nostro ruolo nell’universo.
Ovviamente c’è anche l’immancabile messaggio ecologista e l’attimo di riflessione sui limiti che l’umanità non dovrebbe violare, ma tutto questo rimane sullo sfondo di una storia che è basata non certo sui dialoghi, spesso avvilenti, quanto sull’ambiente nel quale la storia si srotola.
In questo film, la tradizionale dicotomia tra natura e cultura si traduce nella differenza tra il buio carico di inquietante mistero, che caratterizza i minacciosi fondali oceanici, dove si muovono sagome inquietanti, e la luce proveniente dalle strutture della piattaforma di trivellazione, e dagli scafandri degli uomini del suo equipaggio.
I protagonisti si muovono tra questi due mondi contrastanti, cercando di sopravvivere. Pochi ci riusciranno, mentre la Tian Industries riuscirà a insabbiare quanto successo, come spesso accade in questo genere di pellicole, continuando a macinare utili, fregandosene di quanti ci hanno lasciato la pelle. Si tratta di un altro cliché di questo genere cinematografico. Basti pensare alla Weyland-Yutani di Alien o alla Umbrella Corporation di Resident Evil. Metafore del nostro mondo globalizzato, dove spesso il potere economico delle grandi compagnie riesce a schiacciare gli individui e i loro diritti. Ma, ancora una volta, tutto questo rimane sullo sfondo.
Lo spettatore viene invece trascinato nella storia dall’incalzare degli eventi. Il dramma esplode subito, nel primo minuto della pellicola, e poi cresce, continuamente. Il film, che comincia come un disaster-movie, diventa un monster-movie. I personaggi devono sopravvivere, superare situazioni che richiedono azione, non dialoghi pensosi. Agire o perire.
Quanto allo spettatore che ha pagato il biglietto, se è venuto a vedere un monster-movie non rimarrà deluso, specie se ama il genere e apprezza le citazioni. E poi il buon ritmo, in continuo crescendo, la curata ambientazione sottomarina, gli ambienti claustrofobici e la splendida fotografia possono regalare emozioni forti. Underwater non è certo un capolavoro, ma è un onesto b-movie che fa il suo lavoro: intrattenere il pubblico che apprezza questo genere.
Alessandro Marotta