Capita ancora che venga la voglia di andare al cinema. Sì, certo, capita ancora che si preferiscano le scomodissime poltroncine pieghevoli al divano di casa, il grande schermo alla solita programmazione tivù o al display del computer, il rito della convalida a strappo al telecomando universale, l’odore inconfondibile dei pop-corn al deodorante per ambiente del salotto, il fastidiosissimo vicino che sgranocchia semini, mentre sorbisce rumorosamente la sua coca, al sibilo del frigorifero che interrompe il silenzio casalingo. Capita ancora che la domenica venga la voglia di svagarsi in una sala cinematografica, in quella sala in cui aspetti con ansia che si abbassino le luci per goderti i trailer dei film in programmazione, in attesa dei titoli di testa, cosciente del fatto che non ti perderai anche quelli di coda, perché sai che solo al cinema quella serie infinita di nomi su fondo scuro sembra avere un senso.
Così è capitato che venisse anche a me la voglia di andare in un multisala, certo meno d’atmosfera rispetto al piccolo cinema di provincia, ho pensato, ma con una vasta possibilità di scelta; ho pagato soddisfatta alla cassa il mio biglietto d’ingresso con riduzione studente infilando i soldi attraverso il vetro, e mi sono portata in tasca, oltre al resto, una “buona-visione” dalla signorina nascosta dietro al microfono. Svago. Cercavo svago. E quindi ho scelto una commedia italiana: Albanese, il buon Antonio Albanese è un’esplosione di comicità e non ha ci ha mai deluso. Infatti non ha deluso: volevo ridere e ho riso. ‘Tutto tutto’ il film e non ‘niente niente’. Poi però le luci si sono riaccese durante l’intervallo e sono stata catapultata nella realtà in cui si pensa, magari si ride anche, ma si pensa. Ho origliato un po’ i discorsi che faceva il mio vicino e poi è arrivato, il pensiero, e la mia mascella rilassata ha cominciato a contrarsi nell’espressione di chi riflette: quante, fra le persone che condividevano con me quel momento di svago leggono i giornali, sono informate veramente sul naufragio che sta subendo la zattera del nostro stivale, fallimento molto più rovinoso di quello della Méduse sulle coste della Mauritania di due secoli fa, ma avvenuto per le stesse negligenze e decisioni improbe dei governanti, quanti ridendo sentono a tratti anche l’amaro in bocca per la situazione degradante della politica e della società italiana? E così il mio ragionare mi ha portato a chiedermi se vedere rappresentate sul grande schermo le miserie e le bassezze marchiate made in Italy abbia davvero una qualche finalità. Cui prodest? E’ necessario sdrammatizzare il nostro contesto storico, demonizzare la politica, i parlamentari, la chiesa, le istituzioni, i loro sprechi, il circo dei poteri forti e le feste in maschera in onore di divinità di carta euro-pa?
Così ho pensato che in fondo a noi basta ridere, a noi basta vederci rappresentati in scene demenziali che fanno scoppiare in lacrime per le risate. Non abbiamo molta voglia di pensare, perché pensare significa anche poi fare qualcosa. Ci basta andare al cinema, un pomeriggio domenicale, e ridere per ciò che ci circonda e per ciò che allo stesso tempo sembra essere così lontano. Non ci piace molto farci delle domande, chiederci per esempio le reazioni che potrebbe avere uno straniero dinnanzi all’esasperazione cinematografica di una società in collasso e declino, ragionare sul paradosso che è connaturato alla stessa satira del tutto e del niente di Albanese, capire che la realizzazione del film produrrà degli incassi, che potrebbero essere denaro sporco, perché questo è il prodotto di un gioco che si regola sulla teatralizzazione del delirio dell’italiano che preferisce ridere di sé e far ridere piuttosto che fare qualcosa per cambiare le cose.
Così le luci si sono abbassate, nella sala s’è fatto buio e anche io ho scelto di distrarmi e sorridere davanti a Cetto La Qualunque, Frengo e Rodolfo Favaretto.
Capita ancora che ci sia la voglia di andare al cinema. Sì, certo, per non pensare.
Ingrid Leschiutta