Sabato pomeriggio Il Discorso ha promosso la presentazione del libro “Una gabbia andò a cercare un uccello” di Luciano Canova, economista alla Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University. Hanno discusso con l’autore Gabriele Giacomini, ricercatore dell’Università San Raffale di Milano e il Sindaco di Udine Furio Honsell.
Luciano Canova, che cos’è l’economia cognitiva e della felicità?
L’economia ortodossa si è progressivamente allontanata dall’utilizzo della psicologia nell’analisi dei comportamenti umani, ipotizzando l’esistenza di individui iper-razionali. Si tratta di un’assunzione legittima da un punto di vista metodologico che, però, nel tempo è andata trasformandosi in un dogma assiomatico che, sempre più, si discosta dalla realtà. L’economia cognitiva e della felicità restituisce, perciò, il giusto ruolo alla psicologia nell’analisi dei comportamenti economici, in primis rimuovendo l’ipotesi di razionalità assoluta. Essa ridà spazio alla dimensione emozionale come determinante dell’agire umano.
Insomma: non solo razionalità e calcoli, ma anche impulsività ed emozioni
Assolutamente. La mente umana è un sistema complesso, ancora lontano dall’essere compreso appieno. Eppure le neuroscienze stanno facendo passi da gigante nell’aiutarci a comprendere i meccanismi attraverso cui il cervello prende decisioni.
Per l’economia, non si possono non citare gli studi dello psicologo Daniel Kahneman, vincitore del premio Nobel nel 2002. Si devono a lui studi pionieristici che mostrano una sorta di duplicità nel processo decisionale delle persone, collegato a due sistemi cognitivi distinti: uno è razionale, l’altro è impulsivo ed emotivo. Alcune decisioni vengono prese dalle persone istintivamente: sotto la pressione del tempo e in condizione di incertezza, gli esseri umani non agiscono razionalmente come vorrebbe la teoria economica standard, valutando tutte le variabili in gioco e soppesando ogni elemento in vista della decisione ottima. Piuttosto applicano delle euristiche: si aiutano, in buona sostanza, con ‘regole del pollice’ che la mente applica automaticamente per arrivare a una decisione in tempi rapidi. Tenere conto di tale duplicità è essenziale se si vuole arrivare a una descrizione coerente e realistica di come le persone operano le loro scelte.
Quanto, poi, alle emozioni, esse giocano un ruolo chiave nel determinare la nostra felicità: lo stesso Kahneman è autore di studi pionieristici che mostrano come sia la dimensione relazionale (amicale, sentimentale, familiare) quella di gran lunga più importante nel determinare il benessere delle persone.
Il Pil è un buon indicatore del benessere sociale o è necessario qualcosa di più?
Il Pil è un indicatore statistico molto importante. Anzi, diciamolo chiaramente: necessario. Esso contiene informazioni essenziali riguardanti la disponibilità di risorse materiali delle persone. Inoltre, è correlato positivamente con molte dimensioni del benessere (tasso di istruzione, aspettativa di vita alla nascita) e negativamente, per esempio, con il tasso di criminalità o la mortalità infantile. Tuttavia, il PIL non è sufficiente e, del resto, lo diceva già il suo inventore Simon Kuznets nel 1934 davanti al Congresso Americano. Proprio l’importanza della dimensione spirituale e relazionale è dimostrata da numerosi studi empirici che evidenziano una relazione non lineare tra reddito e felicità. Oltre una certa soglia di risorse materiali, cioè, la felicità non sale proporzionalmente con il reddito. Essa tende piuttosto a rimanere costante, quando non a diminuire proprio.
Se fosse un decisore politico, quali azioni compierebbe ispirandosi all’economia della felicità?
Prima di tutto imiterei chi già sta prendendo decisioni molto concrete. In particolare, il governo inglese guidato da Cameron ha una vera e propria happiness agenda, con un’unità che si occupa di definire politiche il cui obiettivo è proprio quello di aumentare la felicità dei cittadini. È stata lanciata una campagna statistica con l’intento di raccogliere informazioni utili allo scopo, cosa che replicherei anche in Italia. Credo che un settore chiave su cui si potrebbe/dovrebbe intervenire sia quello del welfare. Stiamo assistendo a una trasformazione direi strutturale dell’industria e del sistema produttivo. Con essa, il welfare ha bisogno di una ridefinizione, tanto più che siamo in un momento in cui i governi, schiacciati dal peso del debito pubblico e dalle necessità del rigore, devono decidere cum grano salis le destinazioni della spesa pubblica. Flessibilizzazione dell’orario di lavoro, incentivi per genitori (madre e padre) per la cura dei figli; potenziamento del contesto relazionale in azienda. Sono tutte problematiche chiave, legate a doppio filo, tra l’altro, con il tema spinosissimo della produttività. In ultimo, perché non istituire un assessorato al benessere?
Dopo la serata di presentazione del suo libro nella saletta Feltrinelli di Udine, promossa dal Discorso.it il 26 gennaio, ringraziamo l’autore Luciano Canova, per la disponibilità e la semplicità con cui ha partecipato all’incontro con l’ausilio del sindaco Furio Honsell e la presentazione di Gabriele Giacomini.
Federico Gangi
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