Il Teatro Comunale di Cormons in collaborazione con a.Artisti Associati ha alzato il sipario ieri sera per Don Giovanni di Moliere messo in scena dalla Compagnia Gank con la regia di Antonio Zavatteri. La commedia in cinque atti in prosa narra le avventure e le imprese di un uomo di corte, donnaiolo e libertino, Don Giovanni (Filippo Dini) che fugge via mare con il servo Sganarello (Alberto Giusta) dai fratelli di Elvira, da lui abbandonata, per naufragare sulle coste italiane dove seduce due contadine con la promessa di matrimonio.
Tante sono le avventure che vive: cerca di far bestemmiare un povero con la promessa di un soldo, salva la vita al fratello di Elvira che cerca di redimerlo senza successo. Riuscirà a non pagare un creditore abbindolandolo con mille moine e tratta con irriverenza suo padre che gli rimprovera il modo dissoluto con cui conduce la sua vita. Inviterà a cena la statua del commendatore che ha ucciso in precedenza e che invano lo esorta a pentirsi; alla fine sarà colpito da un fulmine e sprofonderà negli inferi.
La scenografia è essenziale. A fare da sfondo un enorme telo dalle tinte fosche e scure, poi giochi di luci e un telo nero con dei tratti a carboncino bianco. Ad un tratto la platea con gli spettatori diventa parte della scena con gli attori che girano nel buio. Le due ore scorrono veloci mentre gli attori inquadrano i personaggi e ne interpretano più di uno: Don Giovanni è irriverente, senza scrupoli, senza patria e senza timore di Dio. L’unica fede in cui crede è la conquista delle donne e si paragona ad Alessandro Magno con la sua voglia insaziabile di espandere i suoi domini. Il servo Sganarello è splendido, con il suo padrone ha un colloquio alla pari, rimane allibito di fronte alle “giustificazioni” che questi adduce per spiegare la sua filosofia di vita. Il servo “cerca di dire non dicendo ma esprime il suo disaccordo con le opinioni e il comportamento del suo padrone“ a cui sarà fedele fino alla fine. Molto divertente il siparietto tra Pierotto e Carlotta – una delle contadine che poi verrà sedotta e abbandonata da Giovanni – dove si parla dell’amore poco espresso di lei nei confronti dell’innamorato. La scena sembra essere ambientata ai giorni nostri e Carlotta, masticando gomma parla e gesticola come una ragazzotta della periferia romana. Molto toccante l’interpretazione di donna Elvira che nonostante tutto, nonostante sia lasciata sola nella sua disperazione, ha una sua dignità e valori in cui credere. Dopo essere stata convinta a lasciare il convento con promesse di amore eterno viene abbandonata non perché l’amore non ci sia ma perché non c’è più l’adrenalina dei momenti che precedono la conquista.
Non si riesce a odiare Don Giovanni anzi addirittura a volte quasi ci si riesce a convincere che lui tutto sommato non è quella cattiva persona che può sembrare. Il suo Essere cambia a seconda delle circostanze, sa usare le “armi” giuste con Carlotta la contadina, che forse come un po’ tutti vorrebbe qualcosa di diverso rispetto a quello che ha e alla quale dice “voi non siete fatta per stare in questo paese, vi strappo e vi porto con me e vi faccio sognare” . Con suo padre che pur lo redarguisce, non si mette a litigare, in quanto, per motivi di interesse “io mi rigiro in questo padre di cui ho bisogno”. Molta emozione suscita il monologo dove Don Giovanni afferma che “l’ipocrisia ti protegge. L’uomo saggio sa servirsi del vizio della sua epoca, Sganarello. L’ipocrisia è il vizio ora di moda e tutti i vizi di moda passano per virtù…”. Lui può anche redimersi e cambiare vita ma solo per continuare a fare indisturbato i suoi interessi. Cosa che sa fare molto bene anche Sganarello, che rimane scandalizzato da don Giovanni ma alla sua morte pensa ai suoi interessi e quindi “e la mia paga?”. False promesse e impegni non mantenuti: argomenti quanto mai attuali a poche settimane dal voto.