Una tragedia immortale tinteggiata da sfumature scure e funeree si trasforma incredibilmente in un dramma popolare, in una vera e propria opera pop, a tratti carnevalesca, quasi goliardica, decisamente comica: ritorna in scena, a cura della straordinaria direzione di Valerio Binasco, la celeberrima opera shakespeariana di Romeo e Giulietta, il capolavoro dell’amore impossibile e irrealizzato di due giovani incantati e sognatori, figli dell’odio implacabile di due famiglie rivali, che nel tempo ha continuato a incantare le platee di tutto il mondo.
Un’eccezionale produzione scenica realizzata dal Teatro Eliseo, in collaborazione con Gloriababbi Teatro e la Compagnia Gank, è stata proposta ieri al Giovanni da Udine per il cartellone della Prosa nella prima delle quattro giornate dedicate alla replica di uno spettacolo che, reduce da plurime risposte positive da parte della critica e vincitore del premio Ubu 2011 per la miglior regia, è riuscita a stupire il pubblico con un taglio che per certi versi si avvicina al neorealistico. Si tratta di una creazione che rivela la sua irruenta carica del ludico e dell’inaspettato: essa sperimenta un’originalissima rilettura in chiave contemporanea, sia per quanto riguarda la rielaborazione dei testi, sia per quanto concerne l’atmosfera, riattualizzata, e della quale si rende necessaria un’identificazione per lo spettatore che, oltre a cogliere le tematiche universali dell’amore, della morte, dell’odio, della vendetta, non può che apprezzare la sottile, ma piena, e manifesta anche in questa operazione creativa, struttura poetica che permea tutte le scene e i dialoghi, intessuti perfettamente all’interno di una trama, sostanzialmente rispettosa dell’originale, e ricca di quella forza vitale che non può che rilevare il suo carattere umano.
Il merito di questo adattamento sta proprio nell’essere riuscito a rendere accessibile ad un pubblico eterogeneo, ma soprattutto contemporaneo, abituato quindi ad una velocità che spesso conduce alla noia se costretto il suo pensiero a ritmi che non siano sostenuti, un capolavoro che per la sua natura fortemente drammatica, e la sua ambientazione in un passato troppo spesso liquidato e archiviato, non viene apprezzato totalmente perché troppo lontano da un vivere quotidiano e realmente sentito.
Una scenografia immobile, in cui la dinamicità e il movimento tragico sono determinati soltanto dai personaggi che si muovono sulla scena, rappresenta uno scorcio veronese, uno spazio aperto che si apre dinnanzi alle mura delle abitazioni dei Capuleti e dei Montecchi in cui palmizi luminosi, parrucche, tacchi, cappelli, vesti luccicanti, alcolici, ci fanno pensare più agli anni zero piuttosto che ad un’ambientazione medievale. La scelta di Binasco è evidente e non può che meravigliare e divertire allo stesso tempo: un tentativo di innestare l’elemento satiresco nella tragedia attraverso allusioni sessuali, battute della dimensione più triviale dell’uomo, spesso espressioni sboccate, svelano in realtà una modalità di avvicinamento allo spettatore che in realtà fa pensare, nel caso in cui non ci si voglia appellare al dotto riferimento della riproposizione del dramma satiresco classico, a come l’attenzione dell’oggi verta sulla disgregazione del senso del poetico e del sublime catartico.
Da segnalare lo straordinario cast di attori di primissimo livello, tra cui le performance di Filippo Dini (Padre Lorenzo), di Andrea Di Casa (Mercuzio), di Milva Marigliano (balia di Giulietta) superano le aspettative, se si considerano i ruoli secondari che ricoprono. Deniz Ozdogan (Giulietta) riporta una freschezza e un’ingenuità assoluta alla figura della giovane innamorata che a tratti rischia però di apparire (volutamente?) sciocca e poco lucida. Un’opera riscoperta che vale la pena di riconsiderare godendo questoa nuova esperienza teatrale piena di contemporaneità.
Ingrid Leschiutta