Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Questo scriveva Tito Livio intorno al 20 a.C. Nel suo Ab Urbe condita libri, a proposito dell’attacco di Annibale alla città di Sagunto, che diede di fatto il via alla Seconda Guerra Punica. Mentre a Roma si consultano, Sagunto viene espugnata. Il latino permette molteplici interpretazioni dei propri testi, non per niente le traduzioni fatte a scuola si chiamano “versioni”, e volendo si potrebbe interpretare liberamente l’amara constatazione di Tito Livio con un mentre a Roma perdono tempo, Sagunto viene espugnata. Come abbiamo già potuto constatare, sembra che la nostra politica, sebbene recentemente arricchitasi di nuovi elementi e volti, sia eterna espressione della Storia, e in particolare degli errori attraverso essa. Che cosa abbiamo oggi, fra i fatali colli di Roma? Un marasma politico unico nel suo genere: un partito politico che avrebbe dovuto stravincere le elezioni e che ora rimane fermo, cercando di tessere trattative con le forze politiche che l’hanno umiliato alle ultime elezioni. Un movimento politico che comincia a contare le prime defezioni dei propri adepti, entrati alle camere in nome dell’antipolitica ed ora in odore di inciuci col tanto millantato nemico, rappresentato dai partiti. Un altro partito, che sebbene abbia preso un misero 10% alle elezioni cerca di piazzare i propri seguaci ovunque (questi, più che la Storia, ricordano la nota storiella delle deiezioni che, grazie alla loro natura, riescono sempre a rimanere a galla). L’ultimo partito, forte del numero dei propri senatori e parlamentari, potrebbe frustrare egregiamente ogni proposta alle camere (lo stesso partito che il lungimirante candidato premier del centro-sinistra aveva definito morto) e di fatto impantanare ulteriormente ogni tentativo di intervento, in un continuo carosello di sabotaggi. Il risultato di questa alchimia di egoismi, politiche partigiane e di comodo è un grottesco nulla di fatto, che potrebbe anche strappare un sorriso se non ne fossimo le vittime dirette. Mentre aspettiamo che la classe politica decida che pesci pigliare, il popolo italiano continua a sguazzare nella crisi più nera: crisi economica e sociale, provocata dai gentili signori sopracitati o dai loro predecessori, che anziché prendere delle contromisure per aiutare la gente e restituire un minimo di dignità alle vittime dei loro stessi intrallazzi, se ne rimangono tranquillamente a discutere sui propri interessi (d’altra parte, i loro stipendi non tardano ad arrivare, non subiscono variazioni come non le subiscono i loro privilegi, alimentati dalle tasche dei cittadini, quindi perché dovrebbero porsi un qualche problema in proposito?). Questa è la nostra classe politica, che se non altro ha il merito di dimostrarci, giorno per giorno, come al peggio non ci sia limite.
Tutto questo richiama alla mente le parole con cui ho aperto questo piccolo intervento, giù utilizzate dal Cardinale Salvatore Pappalardo in occasione dell’omelia funebre per Carlo Alberto Dalla Chiesa. Mentre a Roma discutono, Sagunto viene espugnata. Come oggi, 2200 anni fa, mentre la classe politica rimaneva a Roma a temporeggiare, immersa nel proprio egoismo e protetta dalla distanza, oltre che dalle cinte murarie dell’Urbe, la gente che questa avrebbe dovuto proteggere veniva travolta da un nemico che sembrava inarrestabile. La differenza sta nel nostro Annibale, la crisi, che è stata una conseguenza dell’ottusità e degli egoismi di coloro che ora dovrebbero difenderci dalla loro stessa creazione.
Simone Callegaro