Dopo la fortunata trilogia di spettacoli corali sull’individuo sociale, di cui due tasselli sono stati ospiti di Akrópolis, Mario Perrotta ritorna alla performance solitaria, come già con i monologhi di Cìncali sui dolorosi risvolti dell’emigrazione italiana. Un uomo tormentato è ora al centro anche di Un bès, prima parte di una nuova trilogia di lungo respiro (si chiuderà nel 2015) dedicata ad Antonio Ligabue, il geniale pittore segnato dall’infanzia infelice. Nato in Svizzera da padre ignoto e riconosciuto per burocrazia dal marito della madre, l’emigrante italiano Bonfiglio Laccabue, il piccolo Antonio fu poi dato in affido a Elise Hanselmann, amata come una vera Mutter, fino al trauma del distacco a 19 anni e al rimpatrio a Gualtieri, paese d’origine del padre adottivo. E lì, ormai lacerato, Ligabue fu per tutti il “matt” da evitare, lo scemo del paese che parlava con le piante metà tedesco metà emiliano e disegnava donne nude sui tronchi degli alberi, mentre intanto espandeva in solitudine la sua visionaria emotività in meravigliosi dipinti a colori. Una commovente figura dell’emarginazione, tra pazzia, arte e sete di amore. Un rifiuto dell’umanità, un artista che sapeva di essere tale e insieme il mendicante di un bacio, un bés, solo sognato e mai ricevuto. Mario Perrotta ne incarna l’umanità spezzata con totale immedesimazione, che lo porta anche a disegnare per tutto lo spettacolo, nello sforzo di abitare realmente una condizione umana al confine e di interrogarsi (e interrogarci) su quale sia la fragile linea che divide –dice- “chi è dentro e chi è fuori”.
di e con Mario Perrotta collaborazione alla regia Paola Roscioli collaborazione alla ricerca Riccardo Paterlini