Da dieci anni l’Italia è ferma; mentre il mondo affronta le sfide della Storia a viso aperto, gli Stati Uniti mantengono la leadership globale trascinando ricerca e innovazione, l’Asia rincorre l’Occidente alla ricerca del suo benessere, l’Europa (del nord) si lancia nella politica a misura d’uomo e cittadino nel senso del buon vivere, civile e salutare.
Lo stivale dei maiali, diceva Franco Battiato, è sempre più infangato e ha tanto bisogno di prendere aria. Non è oggi che si scopre questa visione della vicenda italica, siamo una Nazione troppo occupata a guardarsi i piedi, a scegliere il paio di scarpe da indossare, per stare al centro delle vicende internazionali. L’Italia è divisa dalla sua frivolezza, dai suoi vizi e vezzi, da una cultura dominante tuttologa e miope. Proprio la cultura è il nesso, la chiave di volta perchè è questa che forgia la sensibilità comune, il sentimento popolare, le visioni e letture del mondo da parte dell’individuo.
Dagli anni Settanta la cultura era materia della sinistra, un monopolio rosso che poneva gli Stati Uniti d’America come il gendarme e l’Unione Sovietica come il fascinoso ribelle dai capelli biondi e gli occhi azzurri, poi i libri dei poeti maledetti, le utopie. La vita politica e quotidiana sembrava muoversi chiusa in una stanza con una finestra da cui si vedevano prati primaverili; quando il 1989 mostrò che quella vista era solo un poster, la disillusione e l’appagamento aprirono le porte alla conquista del monopolio culturale da parte della “destra”, del “giusto secondo me”, del divertimento facile, del pensare è noioso.
E’ ridondante ripetere che l’Italia è la culla della cultura occidentale ma, ne siamo certi, è anche un modo per disorientare le coscienze, questa verità ci pone lo sguardo fisso sul passato, mentre gli altri Paesi corrono avanti. La politica è il motore della società e non sappiamo quando uscirà dall’officina, o forse, dalla discarica visto che ogni cittadino può da solo vedere quali siano gli argomenti che il Governo italiano pone quotidianamente in agenda, basta ascoltare il ministro Tremonti che, alla presentazione del Rapporto 2011 della Corte dei conti sul Coordinamento della Finanza Pubblica a palazzo Giustiniani, commentando l’ultima indagine ISTAT(un italiano su quattro vive la povertà), si è rivolto alle personalità in sala “Alzi la mano chi di voi è povero”. Detto da uno dei parlamentari più facoltosi era probabilmente una battuta: non ne avevamo proprio bisogno.
Federico Gangi
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