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GLI OCCHI DI ROMA, LA PROTESTA E L’IDIOZIA

A luglio, in seguito degli scontri dei No Tav in Val di Susa, pubblicammo l’editoriale  “No Tav. Quando l’opinione non basta” per condannare quegli scontri. Ora,  dalla viva voce di un partecipante alla manifestazione degli “indignados” di sabato 15 ottobre a Roma, proponiamo un dettagliato “reportage” di quello che è successo nella capitale dando una rappresentazione reale di chi c’era e ha vissuto sulla propria pelle la protesta e l’idiozia.

La nota è fatta da Nicolò Berti, ventunenne di Codroipo, che era presente alla manifestazione con il gruppo della Fiom Fvg partecipando al corteo principale.
Ha deciso di scrivere queste righe perché ha visto con i suoi occhi ciò che è accaduto quel giorno, chi erano i facinorosi e chi invece i pacifici, chi ha evitato che la situazione degenerasse ulteriormente e chi invece non ha mosso un dito.
Le sue parole sono chiare e nitide perché sono scritte subito dopo l’accadimento dei fatti descritti e, per questo motivo, ricchi di dettagli.

Un grazie a Nicolò per aver condiviso con noi questo documento e a Riccardo Peterlunger, suo compagno di avventura, per le foto.

Spazio, giustamente, agli occhi di Roma:

Sono circa le 14 e siamo appena usciti dalla fermata della metro di Roma Termini, davanti a noi c’è una piazza gremita di colori e di persone di varia provenienza: dagli studenti della Sapienza agli attori del teatro Valle con il loro carro allegorico, dai metalmeccanici della Fiom alle associazioni No-Tav.
La testa del corteo, guidata dai comitati dell’Acqua Bene Comune, era già partita circa da un ora, noi ci trovavamo al centro, tra gli studenti universitari e i metalmeccanici.  Tutto bene, circondati da mille colori e canti di ogni genere, da “Bella ciao” a canzonette napoletane su Berlusconi e le sue escort.
Appena entrati in via Cavour iniziano i primi disordini, alcuni anarchici incendiano due Mercedes e sfondano un bancomat, siamo quindi costretti a fermarci e ad aspettare che i pompieri domino le fiamme.

© Riccardo Peterlunger 2011

Nel giro di 15 minuti la situazione è di nuovo tranquilla, procediamo quindi verso i Fori Imperiali ma, arrivati a metà della via, all’altezza dei rottami bruciati, scoppia il caos: i Black Block non se ne sono andati, si sono nascosti nelle vie laterali e ci hanno aspettato!
Da un incrocio di fronte a noi si sentono esplosioni e vediamo un sacco di fumo uscire dai lati dei palazzi, sono loro, sono tornati. Sono circa una trentina, scoppia il panico nel corteo, la gente fugge indietro verso di noi, un gruppo di Rifondazione Comunista abbandona i cartelli e si lancia contro i facinorosi usando le proprie bandiere nel disperato tentativo di respingerli.
Non facciamo in tempo a voltarci per fuggire quando da un vicolo subito a fianco a noi spuntano altri venti Black Block, in tenuta d’assalto con le spranghe e i petardi in mano, pronti  a liberare i propri compagni dal blocco dei rifondaroli. Subito i manifestanti di Sinistra e Libertà capiscono che la situazione sta diventando critica e senza esitare si buttano addosso a loro e, con un coraggio immane, li affrontano a mani nude e con le aste delle bandiere.
Il mio amico Giuseppe corre subito in loro sostegno e insieme ai cinquantenni di SEL cerca di respingere gli anarchici in un altro vicolo. Ci riescono, i Black Block sono in fuga, ma prima di dileguarsi si voltano e ci lanciano contro due bombe carta, una cade dentro un bar e per fortuna non ferisce nessuno, l’altra cade in mezzo ai nostri difensori, uno di loro cerca di tirarla via ma gli esplode in mano portandoli via tre dita. Altri rimangono leggermente feriti tra cui Giuseppe, che se la cava con una bruciatura sulla spalla e con un leggero danno all’orecchio destro.
Nell’inseguire per i vicoli gli anarchici, ci accorgiamo che diverse camionette della polizia sono posizionate intorno a noi, ma il fatto curioso è che nessun poliziotto è in strada per fermare i facinorosi in fuga.
Decidiamo di avanzare, via dei Fori Imperiali è vicina ormai, più avanziamo e più ci rendiamo conto della distruzione che ci circonda, una pompa di benzina è sfondata, le saracinesche dei negozi sono divelte, le vetrine sfondate.
Arrivati ai Fori scopriamo che la polizia è in tenuta anti sommossa pronta a intervenire, molti manifestanti inveiscono contro di loro urlando “Perché non avete fatto niente?”, “Dove eravate?”, per un attimo scoppia il panico perché alcuni iniziano a tirare sanpietrini contro le forze dell’ordine ma subito vengono fermati dagli altri manifestanti e la marcia del corteo, ormai mutilato, prosegue.
Arriviamo al Colosseo, per lo più alla spicciolata, non siamo più compatti come all’inizio, molti sono usciti dalla via principale e ci osservano avanzare verso piazza San Giovanni, il nostro punto di arrivo.
Ad un tratto sentiamo una lunga serie di esplosioni e vediamo centinaia di persone fuggire verso di noi da via Labicana. Dietro di loro si alzano due alte colonne di fumo nero, l’elicottero della polizia rotea sopra la via come impazzito cercando di capire cosa succede, ma nessuno lo sa con certezza.

© Riccardo Peterlunger 2011

 

Cerchiamo di fermare qualcuno per sapere cosa succede, uno di loro ci  dice che via Labricana è in fiamme, che stanno bruciando una caserma, un altro si avvicina e urla: “Non andate di là, è un campo di battaglia”. Capiamo che ormai la testa del corteo è perduta perché bloccata in piazza San Giovanni e non abbiamo nessuna possibilità di raggiungerli.
In preda alla confusione più totale, centinaia di persone si accalcano davanti al Colosseo, alcuni cercano di raggiungere la piazza aggirando la battaglia ma è impossibile perché i Black Block sono ovunque e se non sono loro a fermarci è la polizia.
Ad un tratto mi telefona Ivan, il compagno della Fiom con cui sono venuto a Roma, ci eravamo separati in via Cavour dopo l’attacco, mi domanda se sto bene e mi chiede com’è la situazione più avanti, io gli dico che siamo bloccati e che non possiamo avanzare, lui mi risponde che via Cavour è di nuovo sotto attacco e che stanno arrivando da noi insieme agli studenti. A quel punto capiamo che siamo bloccati, non possiamo ne avanzare ne indietreggiare, la testa del corteo sta subendo le cariche della polizia e degli anarchici, e la coda è bloccata all’inizio di via Cavour.
Il tempo passa, ci aggiriamo per via dei Fori Imperiali cercando di capire cosa sta succedendo ai compagni che si trovano più avanti, ci dicono che molti si sono nascosti dentro alle chiese o nei palazzi, che la polizia è in fuga perché tutti i facinorosi si stanno concentrando in piazza San Giovanni.
Ad un tratto sentiamo cantare dietro di noi, ci voltiamo, è la Fiom, finalmente sono arrivati, stanno in testa a ciò che rimane del corteo e lo stanno guidando verso di noi. I ranghi sono compatti, si tengo tutti sotto braccio per rimanere uniti, mentre sui lati il loro “servizio d’ordine” usa le bandiere come transenne per impedire l’accesso ai facinorosi. Subito dietro di loro vediamo gli studenti, anche loro sono compatti e avanzano a passo sicuro.

© Riccardo Peterlunger 2011

 

Appena ci raggiungono, dalla folla scoppia un enorme applauso, tutti i manifestanti rimasti si uniscono al corteo guidato dalla Fiom ed entrano nei ranghi. Tutti insieme ci dirigiamo verso piazza Vittorio evitando in questo modo li scontri. Finalmente siamo al sicuro.
Arrivati a destinazione Landini in persona sale sul camion che apriva la strada e con un microfono ringrazia tutti i metalmeccanici, senza i quali non sarebbe stato possibile evitare che questa grossa porzione di corteo si salvasse dal caos e ci invita a scioglierci per raggiungere al più presto le nostre corriere in modo da poter lasciare Roma e il caos che l’ha sconvolta.
Arrivati allo scalo delle corriere dell’Anagnina scopriamo che anche in piazza Vittorio sono iniziati degli scontri perché alcuni studenti non hanno seguito il consiglio di Landini e hanno preferito rimanere li. Noi in compenso siamo felici di esserne usciti illesi e aspettiamo con trepidazione il ritorno di tutti i nostri compagni che purtroppo non sono stati così fortunati.

Gli occhi di Roma © Riccardo Peterlunger 2011

 

Nicolò Berti

Rudi Buset

Federico Gangi

© Riproduzione riservata

 

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Un commento

  1. roger passalacqua

    Dal ‘Corriere.it’ del 18 ottobre 2011

    L’ assalto di Roma Le indagini Retroscena
    La mossa dei «duri» per fermare i «dialoganti»
    Quelle voci su un patto per i seggi con Vendola dietro gli incidenti
    Le accuse e le repliche Su Internet: qualcuno ha voluto evitare manifestazioni incisive puntando alle poltroncine.
    La risposta: nessun accordo

    ROMA – C’ è anche la storia di un accordo segreto – vero o presunto, rinfacciato o negato – dietro gli scontri che col fumo dei blindati in fiamme hanno oscurato la manifestazione di sabato. Un accordo siglato da una parte dei leader del movimento antagonista per ottenere qualche seggio parlamentare alle prossime elezioni nelle liste di Sinistra ecologia e libertà, il partito di Vendola, che li avrebbe portati a dire troppi «sì» alle imposizioni istituzionali; ultima quella di un percorso del corteo del 15 ottobre lontano dalle sedi della politica, dal Parlamento a Palazzo Chigi, alla residenza di Berlusconi. Per questo i «dialoganti» responsabili della manifestazioni ispirate alle proteste spagnole sono finiti nel mirino dei «duri», più affascinati dai fuochi delle rivolte greche. Niente infiltrati, ma due fronti che si conoscono bene, giovani e meno giovani che in queste ore e nei prossimi giorni discutono e discuteranno, accusandosi a vicenda. «Io più che con chi ha fatto gli scontri ce l’ ho con chi li copre – diceva subito dopo i tumulti Andrea Alzetta detto “Tarzan”, uno dei capi del collettivo romano Action – senza nemmeno avere il coraggio di partecipare agli assalti. Gente che per mascherare la pochezza di un insurrezionalismo senza prospettive alimenta la rabbia incontrollata che non porta da nessuna parte». Tarzan, rappresentante dell’ opposizione più radicale al consiglio comunale di Roma, è additato come uno degli artefici del presunto patto con Sel, ipotesi che lui smentisce con fermezza: «Non c’ è nessun patto, né abbiamo intenzione di candidarci a livello nazionale», assicura. L’ accusa è arrivata nella stessa serata di sabato sul sito Askatasuna.org : «Gli organizzatori dei comizi finali in piazza San Giovanni avevano desistito da tempo dallo sfilare verso i palazzi del potere romano, l’ unica cosa incisiva in una giornata del genere». Subito dopo ecco il riferimento al patto segreto: «Oggi poteva solo succedere qualcosa in più dei piani prestabiliti, spiace che ci sia chi non ha voluto vedere e si è voluto coccolare il suo orticello fatto di qualche poltroncina con Sel alle prossime elezioni». I nomi più ricorrenti dei possibili deputati nelle file vendoliane per i «disobbedienti» oggi «indignati» sono quelli del padovano Luca Casarini e del romano Francesco Raparelli. I quali, pur rivendicando il diritto di interloquire con chiunque ritengano opportuno, smentiscono. Ma sul sito Globalproject.info , prima ancora della «reazione scomposta e violentissima della polizia in piazza San Giovanni», criticano quei «pochi» che «hanno messo in pericolo chi voleva manifestare e diviso il movimento, con pratiche di conflitto irresponsabili oltre che inutili (bruciare auto o cassonetti in via Labicana: altro che assedio ai palazzi del potere!)». A questo punto, che il patto negato dagli interessati sia reale oppure una velenosa insinuazione conta poco. Conta che se ne parli, come avviene sui social network che hanno sostituto le assemblee di un tempo. In un messaggio su Facebook si sostiene che l’ accordo è stato raggiunto dopo una serie di incontri culminati nel raduno abruzzese di fine agosto chiamato «Tilt camp», e per conto di Sel i garanti sarebbero Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni: «Tutto ciò non è andato giù agli esclusi: i torinesi, parte dei milanesi e dei romani e molta parte di un mondo che non è conosciuto quasi da nessuno ma che Casarini, Raparelli e Alzetta conoscono benissimo. Nelle liti nelle birrerie di via dei Volsci (sì, sempre lì, da oltre trent’ anni), e per le strade romane e sulla Rete, sono nati gli scontri di sabato». A farla breve, l’ accusa nei confronti dei «dialoganti» è di aver piegato la manifestazione alle pretese della questura e della prefettura, accontentandosi di una protesta poco più che folcloristica. E allora, contro chi vende un corteo per un seggio in Parlamento, fiamme e sampietrini a volontà. Così si spiegherebbe almeno una parte degli scontri, secondo un piano rivendicato da chi alimenta il dibattito attraverso la Rete: «Chi ha organizzato il 15 ottobre voleva una sfilata pacifica fino a una piazza lontana dai palazzi del potere con i soliti comizi finali. Un compromesso di comodo per alcuni. Non serviva essere particolarmente intelligenti per capire che non sarebbe andata così». Per buttare all’ aria il tavolo del presunto accordo segreto, i violenti hanno potuto contare sulla complicità di spezzoni di corteo che li hanno accolti, facendogli conquistare le prime posizioni a dispetto delle intese. Raccontano gli organizzatori che le frange «più vivaci» dovevano restare in coda, invece qualcuno ha consentito che si presentassero in testa o quasi, sorprendendo anche le forze dell’ ordine rimaste immobili per ore. Il risultato è stato un crescendo di devastazioni fino agli assalti di San Giovanni. Sui quali qualcuno, all’ interno del movimento, auspica una resa dei conti che però non passerà per le denunce dei violenti alla polizia. «Piuttosto che fingere che non sia successo niente è meglio rompere definitivamente», dice uno dei promotori della manifestazione che evoca i servizi d’ ordine di una volta, mentre Raparelli e Casarini avvertono: «Non è più possibile rinviare un ragionamento pubblico sulle forme di autoregolamentazione dei cortei».

    Vero o presunto, rinfacciato o negato? Non lo so! Però mi induce qualche riflessione.

    Roger Passalacqua – Bardonecchia (TO)

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