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SCUOLA: SEMPRE LA SOLITA MALATA.

Ricordiamoci che già dalla metà dell’800 la “pubblica istruzione” era in mano alla politica, e questa nel dare una direttiva all’insegnamento decise cosa insegnare ai suoi cittadini-sudditi-fedeli. Ieri insegnava il fascismo, l’altro ieri il culto dei Re (tali per volontà divina) e in un non lontano passato, una arrogante categoria insegnava e riteneva NON UTILE alla società alfabetizzare troppo il popolo:

Il ministro della P.I. BACCELLI nel 1894 nel fare il programma sulla nuova “Riforma della Scuola così si esprimeva nel suo preambolo:… bisogna insegnare solo a leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto una………unica materia di “nozioni varie”, senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all’iniziativa del maestro e rivalutando il più nobile e antico insegnamento, quello delleducazione domestica; e mettere da parte infine l’antidogmatismo, l’educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!”

Da oltre 150 anni il presupposto di chi governa è sempre stato più o meno palesato quello di avere una scuola “pubblica” sempre più precaria in una società anche essa precaria, nella quale il livello di istruzione sia sempre legato al censo ed al potere. Negli anni settanta si ottenne il sei politico, che se da un lato voleva garantire l’istruzione di massa, dall’altro non era che un contentino per i ceti più poveri di sentirsi padroni dell’istruzione anche senza il lignaggio della borghesia.

Il vero fallimento e la vera miopia degli intellettuali progressisti dell’epoca la ritroviamo oggi sotto i nostri occhi con milioni di diplomati e migliaia di laureati che a ben poco possono contribuire per l’innalzamento della società con le basi appena sufficienti  a dichiarare di aver pasciuto per circa trent’anni nella scuola senza mete ne ideali rivolti alla ricerca e alle novità.

Nell’era di Internet, dei cellulari, della globalizzazione e dell’informatica. Nell’era della finanza e dello spazio ci ritroviamo – con la Gelmini- in classi elementari gestite dal maestro unico. Con insegnati  vecchi formatisi oltre trentanni fa che si preoccupano più di difendere le proprie prerogative sindacali che pensare all’aggiornamento e al nuovo modo di inculcare cultura alle generazioni di facebook e twitter. Secondo le ultime indagini l’Italia ha il corpo insegnate più vecchio d’Europa dove le maestre elementari oltre i cinquantanni superano abbondantemente il 30% e i professori di medie ed istituti superiori superano il 40%. Questo serve a suffragare l’ipotesi che gli insegnanti italiani in media  sono anziani, e circa la lmetà vicini alla pensione, quindi demotivati e restii al continuo aggiornamento.

Come da anni ormai ci si lamenta il problema potrebbe essere assolto dando la colpa alla televisione che come aveva scritto Renato Parascandolo su “Telema” relativamente al rischio che la televisione possa diventare uno strumento di diffusione della stupidità generale si sbagliava in quanto sul rischio futuro è già stato  superato da quanto è apparsa la televisione commerciale e tutta la sua spazzatura mediatica che ha livellato verso il basso le aspirazioni e le menti dei nostri giovani. Abbiamo loro rubato il futuro del pensiero ed ora stiamo rubando loro il futuro economico.

Enrico Liotti

enrico.liotti@ildiscorso

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About Enrico Liotti

Giornalista Pubblicista dal 1978, pensionato di banca, impegnato nel sociale e nel giornalismo, collabora con riviste Piemontesi e Liguri da decenni.

4 commenti

  1. Luigi Berlinguer

    Liberiamo il campo per la passione dell’ovvio, ribadendo che la cultura è un bene in sé, che non si studia per produrre ma per sapere e che una società senza cultura non ha cultura.
    La scuola realizza la cultura e la cultura realizza la persona attraverso l’interesse e lo studio. L’istruzione così come organizzata in Italia crea discriminazioni sociali profondamente ingiuste e anti-produttive. Coloro che non lavorano, che non studiano e non si aggiornano testimoniano il rischio di fallimento dell’istituzione scolastica il rischio di un fallimento sociale e un fallimento individuale.

  2. Abbiamo oggi una dispersione post-obbligo altissima,
    che non è più dovuta alla povertà economica delle fa-
    miglie, ma ai danni cognitivi che noi abbiamo provoca-
    to alle menti dei giovani con una scuola dell’obbligo che
    non prepara più a niente, e con una scuola superiore
    che su quelle fragili basi è costretta a lavorare.

  3. maria laura

    Che dirle, Signor Direttore, mentre il PREMIER è piuttosto impegnato a risolvere i suoi problemi, noi MAESTRE precarie palermitane auspichiamo che qualcuno possa finalmente far seguire al Ministro Gelmini un corso di formazione accelerato sulla scuola pubblica statale italiana e sulla Storia del precariato che ha garantito la preparazione di milioni di studenti.

  4. La scuola e’ il luogo dove la realta’, quella esterna e sociale, dovrebbe cominciare a diventare comprensibile a chi si appresta a diventare adulto. E’ la scuola che fornisce i primi e grandi schemi interpretativi della realta’. Ma oggi la scuola sa lei per prima, piu’ o meno coscientemente, che non e’ piu’ in grado di fornire gli schemi interpretativi della realta’ perche’ ogni schema che essa fornisca ai ragazzi diventera’ obsoleto e inutile quando i ragazzi saranno diventati adulti. Peggio ancora, la scuola sa che gli schemi interpretativi della realta’ che essa e’ in grado di fornire ai ragazzi non sono appropriati neppure per la realta’ presente. E’ la scuola che per prima sente la realta’ come incomprensibile.

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