Mentre il governo Monti ottiene la fiducia sono in molti a parlare di sospensione della democrazia o, in maniera più raffinata, di anomalia democratica nel modo in cui si è costruito il nuovo esecutivo. In generale, si fa riferimento al fatto che Berlusconi sarebbe stato sfiduciato più dai mercati e da pressioni internazionali che dal parlamento, e che i diktat dell’economia e della finanza sembrano limitare la democrazia condizionando nascita, vita e morte dei governi.
In realtà il caso del governo Monti non ha caratteristiche, né nuove né sufficienti, che possano portare a seri dubbi sulla sua natura democratica. L’Italia è una repubblica parlamentare: i cittadini eleggono dei rappresentati che, a loro volta, votano e legittimano il governo. I cittadini non sono meno cittadini per questo. Quando si dice che in Camera o Senato una qualunque maggioranza può “staccare la spina” al governo si dice l’assoluta verità, e ciò significa che il governo è nelle mani dei rappresentanti eletti dai cittadini. Il governo Monti potrà sospendere il bipolarismo, ma ciò non è sufficiente per gettare ombre sulla democrazia.
Ciò che preoccupa, invece, non è una novità, ed è la crisi dello stato nazionale. Il governo Monti non segnala un problema di democrazia all’interno del sistema italiano, ma un problema di sovranità statuale: le nazioni europee sono troppo piccole per incidere sui processi economici globali, e non riuscendo a governarli si trovano spesso costrette a subirli. Per questo negli ultimi decenni hanno progressivamente affidato il proprio potere politico ad organismi sopranazionali. Coordinandosi, è possibile gestire con più efficacia le dinamiche globali, ma questo implica delegare parti della propria sovranità nazionale, vincolarsi a decisioni prese oltre i propri confini e su cui si ha una capacità di intervento solo indiretta e parziale.
I problemi che nascono dalla crisi della sovranità potrebbero essere in parte superati se i poteri statuali venissero trasferiti ad organizzazioni efficaci e a loro volta democratiche. Ma attualmente non è così: basti pensare all’Unione europea. Organi poco rappresentativi come la Commissione Europea parlano chiaro. Quando vengono eletti i rappresentanti al Parlamento europeo, la campagna elettorale è specchio della politica nazionale, con il risultato che il Parlamento rappresenta o interessi democratici ma nazionali, oppure interessi comunitari ma di cui gli elettori sanno poco o nulla. Inoltre l’Unione Europea pecca in potere politico e quindi in capacità d’azione: alla Banca centrale europea non corrisponde un’autorità politica altrettanto forte. Una prova? La regia politica europea è in mano a Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, ovvero soltanto ai due maggiori interessi nazionali.
Il futuro è fatto di rischi e di speranze. Il rischio è che il nuovo esecutivo cada vittima di teoremi finora non dimostrati. C’è chi teme che il governo Monti risponda ai “poteri forti” e non al parlamento, non considerando il problema reale: in una situazione di crisi della sovranità, l’attuale governo è condizionato dall’esterno così come lo sarebbe qualunque altro. C’è anche chi crede che, sulla scorta del Porcellum, il primo ministro debba essere scelto direttamente dal popolo e non dal parlamento, avanzando una novità “presidenziale” che però ad ora non è presente in Costituzione. La speranza è che il governo Monti, avendo sufficienti carte in regole per essere definito democratico, agisca con convinzione in direzione europeista, collaborando per una migliore integrazione che possa diventare, allo stesso tempo, in grado di governare le dinamiche dell’economia internazionale e all’altezza delle aspirazioni democratiche dei popoli europei.
Gabriele Giacomini
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