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Preferenze sì, preferenze no: la partita della riforma elettorale

L’azione del governo Monti si limiterà ad interventi circoscritti, riguardanti principalmente la sicurezza dei conti pubblici e un primo rilancio economico. Ma il futuro dell’Italia resta in buona parte da costruire, e dipenderà innanzitutto dalla forma che prenderà il sistema partitico e politico italiano nei prossimi anni.

Per questo motivo, la notizia di un tentativo di riforma della legge elettorale è di primaria importanza. Ricordiamo che la formula e il sistema elettorale è un vero e proprio “filtro” fra la società e la politica: influenza il modo in cui i cittadini votano, le modalità con cui i partiti presentano i candidati e se daranno luogo, o meno, ad alleanze. Una legge elettorale può sotto o sovrarappresentare un certo tipo di partito, avere conseguenze sul numero di partiti presenti in parlamento. Incidere sulla formazione e sul funzionamento dei governi.

Cosa aspettarsi da questa importante partita politica? Per un parlamentare appoggiare una legge elettorale significa tirare in ballo valori propri o del gruppo di cui fa parte, ma anche interessi particolari. La storia, almeno in questo caso, è maestra: Elbridge Gerry è diventato famoso per aver inventato il gerrymandering, ovvero la pratica di ritagliare i collegi elettorali per ottenere scopi strettamente di parte. Eletto governatore del Massachusetts, nel 1812 Gerry disegnò i confini dei collegi per l’elezione al parlamento dello stato in modo tale da consentire ai Democratici di conservare la maggioranza. Quando qualcuno osservò che un collegio aveva la forma di una salamandra, un critico replicò che sembrava piuttosto un gerrymander: una vera e propria manipolazione.

Anche oggi il rischio è quello di cedere a “interessi di bottega”: una delle questioni oggetto di discussione è quella delle preferenze. Con l’attuale legge, l’elettore si limita a votare solo per delle liste di candidati, senza la possibilità, a differenza di quanto si verifica per le elezioni europee, regionali e comunali, di indicare preferenze. L’elezione dei parlamentari, quindi, dipende in primo luogo dalle scelte e dalle graduatorie stabilite dalle dirigenze dei partiti. Come si legge della nota congiunta diffusa ieri da Pdl e Pd, “si è convenuto sulla necessità di cambiare l’attuale sistema elettorale restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti”. Sembra quindi si vada verso la reintroduzione delle preferenze. Eppure sono già nati le prime precisazioni e distinguo.

Da un lato le forze politiche sembrano voler rispondere alle esigenze dei cittadini, molti dei quali percepiscono le liste bloccate come un allontanamento del parlamento dalla società civile, come un limite al diritto di scegliere i propri rappresentanti nella maniera il più diretta possibile. Dall’altro lato, i politici a cui spetterebbe di votare il ritorno alle preferenze sono stati eletti grazie alle “liste bloccate”, quindi in virtù di una scelta della dirigenza del partito. Se dovessero cercare le preferenze dai cittadini, questi parlamentari riuscirebbero a riottenere l’elezione? Per i leader non diventerebbe più difficile controllare il partito? Insomma, come suggerisce Massimo Franco sul Corriere: le forze politiche lasceranno le cose come stanno dopo aver finto una riforma? Oppure stanno davvero prendendo in considerazione un cambiamento?

Gabriele Giacomini

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