Sull’uso improprio delle tecnologie, che siano esse social media o mass media “convenzionali”, come, ad esempio, la televisione, s’è parlato infinite volte, a sufficienza e spesso anche inopportunamente, rimarcando le dannose potenzialità insite nel progresso tecnologico.
Alla luce, però, della notizia che la famosa piattaforma di microblogging Twitter raggiungerà nella giornata di oggi il traguardo dei 500 milioni di utenti attivi una considerazione sul fuorviante utilizzo che spesso, purtroppo, ne viene fatto appare, quanto modo, doverosa.
Non si vuole in questo caso parlare di come la libertà in rete possa portare a, o quantomeno favorire, atti criminali, ma semplicemente di come, spesse volte, nel ventaglio di possibilità di utilizzo che permettono tali mezzi di comunicazione la scelta ricada su quelle che maggiormente permettono l’esaltazione dell’ego personale.
Ad esempio pochi sanno che Twitter, nato nel 2006, ha avuto importanza rilevante nella trasmissione delle informazioni durante quella che venne definita la “primavera araba”, permettendo sia di avere aggiornamenti in tempo reale sia di aggirare i canali di comunicazione tradizionali, generalmente controllati dal regime che si stava, per l’appunto, contrastando.
La maggioranza degli utenti, iscrittisi in massa da pochi mesi, invece, ha acquisito consapevolezza di questo potente mezzo solo dopo averne sentito parlare in televisione dalla personalità di turno o su qualche giornale scandalistico che riportava la notizia del grande uso fattone dalle cosiddette star.
Del resto risulta difficile pensare che in Italia, paese che sprofonda sempre più negli abissi delle classifiche sulla libertà d’informazione e in cui, fino a poco tempo fa, vigeva quello che potremmo quasi definire un monopolio delle frequenze televisive pubbliche e private, ci si possa preoccupare della libera espressione e delle problematiche che la sua mancanza causa, mentre appare molto più ovvio l’utilizzo del mezzo per poter “geolocalizzare” la propria posizione in ogni momento della giornata o per poter rispondere alle domande retoriche di Nicole Minetti od Alfonso Signorini.
Simile è il discorso con il ben più famoso Facebook, ormai veterano dell’era dei social network, il cui utilizzo spesso è riconducibile a quello dei vecchi album di famiglia, ovvero moltitudini di foto, spesso brutte o sfocate, mostrate in un moto d’orgoglio a chiunque capitasse sotto mano, in un tentativo di esaltazione di tutto ciò che nella propria vita è stato fatto, pure la vacanza in crociera nel mar Mediterraneo.
Le immense possibilità offerte da questi mezzi, come la grande capillarità e la velocità con cui essi possono arrivare in tutte le zone del mondo, la capacità di far raggiungere contenuti di vario tipo, persino culturali, ad ampie fette della popolazione e le enormi potenzialità dal punto di vista della condivisione del sapere quindi si eclissano se affiancate all’opportunità di poter rendere il mondo partecipe del fatto che sì, la sera prima si era in quella nuova discoteca che tutti frequentano, cosa comprovata dalle foto del wannabe fotografo di turno.
Fortunatamente, però, ci sono, e sono molti, anche quelli che fanno un uso consapevole ed intelligente del mezzo, ma di questi difficilmente ce ne accorgeremo, occupati come siamo a controllare se Demi Moore ha già tweettato la foto del suo nuovo toyboy.
Elisabetta Paviotti
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