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Volpe Pasini contro Lizzero: riflessioni e memoria

Diego Volpe Pasini è stato condannato a pagare una multa di 1500 euro e a risarcire coloro che si sono dichiarati parte civile al processo intentato nei suoi riguardi (l’Anpi e Luciano Lizzero, figlio del personaggio di cui si parlerà) di 5000 euro l’uno e in ulteriori 2000 a testa come sanzione pecuniaria prevista dalla legge sulla stampa. Perché? Per la sua dichiarazioni riguardo al partigiano Mario Lizzero, commissario politico della brigata Garibaldi, rilasciata in un’intervista al Messaggero Veneto nel 2008: “ aveva sempre portato dentro di sé la responsabilità politica del massacro di Porzùs” ; affermazione, questa, considerata diffamante nei confronti del comandante partigiano, divenuto poi consigliere comunale a Udine e punto di riferimento della sinistra in Friuli.

Al di là del fatto in sé (in cui la figura di Lizzero potrebbe forse lasciare ancora qualche dubbio riguardo una sua ben che minima responsabilità, magari per non essere riuscito a fermare l’ordine di Modesti e Tambosso, reponsabili del Partito comunista friulano e mandanti della spedizione punitiva), con questa sentenza si ha quasi l’impressione che il diritto di critica storica (come l’ha definito l’avvocato di Volpe Pasini, Luigi Francesco Rossi) vada a farsi benedire, a braccetto con la semplice libertà d’espressione, quando si ha la testarda convinzione che questa vada a ledere la figura di un determinato personaggio, membro di un qualche pantheon di intoccabili, fanaticamente difesi dai propri eredi storici, politici e, almeno loro giustificatamente, biologici. La memoria di un personaggio, in questo caso del glorioso Andrea (questo il nome di battaglia del comandante Lizzero), che avendo oltretutto avuto rapporti con le vittime sicuramente avrebbe voluto evitare lo spargimento di sangue nelle malghe di Porzùs, non risulterà lesa se non la si vorrà cocciutamente veder tale, ma la prepotenza con cui la dichiarazione di Volpe Pasini (senza dubbio discutibile) ha sollevato un polverone accecante, con tanto di condanne, fa risorgere l’amara sensazione che non sia possibile filtrare la vita (o la leggenda) e le gesta di un personaggio, di un eroe o di un antieroe, di qualsiasi credo o colore politico esso sia, senza trovarsi imputati di vilipendio, revisionismo o quant’altro sia fermentato nelle meningi di chi non vuole sentire, togliendo così in qualche modo la possibilità di pensare e far pensare, di ragionare, e la stessa libertà di espressione alla gente, ma elargendo bensì l’idea di essere realmente impantanati in una sorta di grottesca dittatura.

Simone Callegaro

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