La problematica del recupero e della salvaguardia dei centri urbani è, senza dubbio, uno dei temi principali e più difficili affrontati dalla teoria e dalla pratica architettonica ed urbanistica a partire dal secondo dopoguerra in poi. Si tratta di una tematica molto complessa, soprattutto in un paese, come l’Italia, in cui il centro delle città principali è sede di edifici di notevole valore storico e culturale, nella quale, dunque, risulta necessario porre molta attenzione alla conservazione dell’identità del luogo in cui si opera, fornita anche dalle manifestazioni architettoniche di valore più elevato.
L’avvicendarsi, dal 1700 in poi, di numerose teorie sulla conservazione ed il recupero degli edifici, prima, e dell’intera città, in seguito, avvalora la tesi secondo cui è altamente improbabile identificare un’univoca linea guida da seguire nell’affrontare ogni tipo di intervento volto a salvaguardare la città.
Tuttavia è risaputo come in Italia, molto spesso, si tenda a seguire sempre la linea del conservatorismo più estremo, nell’ottica di una preservazione di tutto ciò che risalga ad un’epoca classificabile come “non recente”, indipendentemente dall’eventuale valore storico e culturale, permettendo, d’altra parte, lo sfregio delle periferie cittadine e di tutto il territorio circostante, attualmente degradato da una moltitudine irrazionale di costruzioni di dubbio gusto, soddisfacenti più un appetito edificatorio che una reale necessità.
Proprio sotto questa luce si può collocare la recente notizia della bocciatura, da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, del progetto di recupero dell’edificio dell’Upim in centro ad Udine, per mano del pluripremiato e rinomato architetto spagnolo Rafael Moneo, vincitore, tra l’altro, del più prestigioso premio per l’architettura, il Pritzker Price.
La proposta dell’architetto di realizzare alcune torri residenziali ed un parco centrale al posto dell’attuale fabbricato non è infatti piaciuta alla commissione atta a valutare tale progetto, la quale lo ha ritenuto troppo impattante per il centro storico, soprattutto in relazione alla vicinanza ad edifici di valore come la Loggia del Lionello e Palazzo d’Aronco,
Non è, però, la prima volta che la Soprintendenza si schiera contro architetti di fama internazionale nel nome della conservazione dell’identità più pura dei centri storici. È difatti recente anche il contenzioso avuto dal succitato Soprintendente con l’architetto Gae Aulenti, chiamata a restaurare Casa Cavazzini, ora sede di una nuova galleria d’Arte, a cui è stata contestata una scarsa attenzione nel recuperare l’edificio, che, sempre secondo il Soprintendente, avrebbe portato ad un risultato di dubbia utilità e poco rispettoso del passato.
In entrambi i casi si vede come, da un lato, vi sia la volontà di grandi menti del panorama architettonico internazionale di ridisegnare gli edifici e, tramite essi, ridare forma e vitalità anche al tessuto urbano circostante mentre, dall’altra parte, vi sia una tendenziale chiusura verso l’innovazione di chi è posto a salvaguardare il centro urbano.
Ma in un momento critico come questo, in cui la tendenza allo svuotamento dei centri storici a favore delle incoerenti periferie e dei sobborghi è indubbia, ha veramente senso porre delle limitazioni quali l’impossibilità di superare in altezza il prospiciente Palazzo d’Aronco a manifestazioni che hanno l’obiettivo di rendere non solo più belli ma, e soprattutto, più attrattivi verso la popolazione ed il commercio questi luoghi attualmente adibiti quasi esclusivamente a gioiellini turistici da ammirare?
Non sarebbe forse più utile, in un’ottica di salvaguardia e, al contempo, di uso sostenibile delle città, prendere ad esempio gli altri paesi europei, in cui il recupero dei centri abbandonati è avvenuto anche per mezzo di importanti interventi architettonici volti a restituire vitalità e a garantire nuove funzioni ad edifici caduti in disuso?
Basterebbe pensare al caso di Bilbao, città basca che ha visto un aumento di notorietà e turismo dopo la decisione dell’amministrazione locale di affidare ad un maestro dell’architettura come Frank O. Gehry la costruzione di quello che è ormai il simbolo della città: il museo Guggenheim.
Attualmente, purtroppo, le cose non stanno andando in questa direzione, preferendo promuovere grandi interventi in zone esterne alla città, come nel caso dell’area ex Bertoli a Udine, piuttosto che restituire il perso splendore ad essa grazie alla matita di architetti che hanno segnato la storia dell’architettura moderna.
Elisabetta Paviotti
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