Εδιζησάμην εμεωυτόν
“Oracolo me stesso ho consultato”
Eraclito frammento numero 101
Di fronte a una nuova condizione sociale, in cui tutto acquista carattere di avvenimento artificiale, intelligenza, velocità, viaggi, là dove il tempo diventa virtuale, un orizzonte dalla durata regolabile, là dove vita private e pubblica si mescolano e si confondono, originale e copia si uniscono per contrazione, e gli oggetti hanno ormai la forza di imporci le loro regole, dobbiamo essere in grado di premettere una nuova soggettività autoriflessiva e incline alla trattativa e al confronto, una nuova attività poetico-pratica. Pratica perché non avrà una fine in se stessa (come Aristotele) ma una continua trasformazione del soggetto umano un “possibile essere”.
Oggi ci troviamo in mezzo ad una crisi (crisi sociale, politica, estetica ecc.) la quale supera ogni controllo critico – di rigetto, supera simultaneamente anche la pretesa di essere comparata al fatto stesso sotto giudizio.
Ecco perché pretendiamo che la rappresentazione sia finita prima ancora di cominciare, visto che la rappresentazione in quanto copia di un’altra non è accaduta mai. E’ un “inizio del non inizio” per ricordarvi Derrida. Con la fine della rappresentazione ricerchiamo la filosofia nella decentralizzazione, la politica nell’inizio dell’incertezza, e la scrittura poetica al “centro delle grandi assenze” come direbbe Rilke.
Però dobbiamo riconquistare la poeticità del mondo (Questa poeticità del mondo esprime la filosofia presocratica). Sapendo che tutte le soluzioni comprendono la stessa problematica e permangono problematiche, è meglio rimanere nella problematica della filosofia poetica. A questo pensiero poetico – filosofico (secondo me questo pensiero si chiama pratica filosofica) appartiene “l’attecchimento” (rizoma) di Deleuze – Guattari, il pensiero come sensazione interiore di Lyotard, la cura (sorge) di Heidegger, le situazioni limite di Jaspers, la radice quadrata della region pratica di Platone, (Vede: Leggi, Republica), ο quando cerchi di tracciare la Diagonale del suo quadrato secondo Pitagora (Ecco la pratica filosofica che cercano molti oggi).
La chiamo, questa, filosofia poetica (dal greco ποιώ) in quanto è in grado di creare e il suo risultato è o deve essere, in senso rigoroso, quello di far emergere un altro essere o una esperienza essenziale di rapportarsi alla realtà (²Poeticamente abita l’uomo…” diceva Holderlin”. Il Poetare edifica l’esenza dell’abitare² credeva Heidegger cioè solo se l’uomo costruisce nel senso del poetante misurare, egli abita).
Il pensiero della filosofia poetica (come pratica filosofica) definito come quello che toglie la nostalgia di essere moderni, cioè programmatici, considera che la filosofia poetica è l’insinuazione che coesiste in quel che non si può esprimere. Per questo in nostra epoca rumorosa la poetica filosofica esisterà al margine del silenzio.
La filosofia poetica non è depriva di qualsiasi valore ontologico (come succede oggi con le consulenze filosofiche) qualcosa tra una specie di psicologismo – pragmatismo, che offre realtà visionarie ed un esistenzialismo che offre profezie realizzate. Si nuove nei limiti della creazione composta dove coesistono la connessione somatica della contemplazione filosofica e l’ontologia poetica. Analizza, si avvicina le situazioni, inventa elementi, crea un ritmo nel progresso dei fatti, organizza fasce omogenee di punti. Con altre parole possiamo dire che la filosofia poetica è la comprensione dell’uomo e non è altro che il familiarizzarsi con il nascosto.
E’ una autoanalisi (self-actualisation) e auto-realizzazione (self-realisation) che si sviluppa la capacità di auto-espressione sotto la luce del significato o della responsabilità seguendo i “passi sulle sabbie del tempo” cioè la simeologia della vitta, e della persona del uomo.
La filosofia poetica cerca il significato del Es (Questo) non solo in Freud ma anche come ci arriva da Nietzsche o anche il complesso di Edipo (come lo troviamo nella Genesi della Tragedia) ma anche nella Critica della Religione cosi come la definisce Feurbach. Di certo Freud si è molto ispirato al ²soggetto trascendentale² di Schopenhauer, sul quale è praticamente basata la libido di Freud.
In altre parole, la filosofia poetica fuori dal pan-determinismo del terapeuta che favorisce il fatalismo della psiconevrosi ossessiva con quelle incredibili attitidini che sono assolutamente superate, per via del deterioramento dei valori irreali della nostra epoca, e fuori da una pscicoterapia che si nutre dall’incertezza umana, la mancanza di sicurezza e la predisposizione a sottomettersi ed i modelli di schematizzazione artificiale dei post freudiani, esamina la personalità così come appare nell’epoca post-moderna tra il processo avanzato della relative destrutturazione della società e la destrutturazione o minore strutturazione della personalità. Sottolinea che bisogna completare il famoso “Dov’era Es, deve diventare Io” di Freud con “dove sono io bisogna che emerge Es”.
La nuova immagine del mondo porta il segno di una verità e di una conoscenza intuitiva superiori alla ragione. Cosi dobbiamo superare la filosofia tipica, accademica, che nasce il “vuoto ontologico”, uno scetticismo metafisico – cosmico senza finestre. La tipica filosofica ha uno sguardo deluso e il movimento della tipica filosofica, è centripeto e, di conseguenza riducibile, destinato ad esaurirsi appena ha raggiunto il suo scopo, vale a dire il punto di arrivo.
Per superare la forma tipica morta della filsosofia, dovremmo riaprire lo spazio – tempo della poeticità. Organizzare, se possibile un pensiero interrogativo che non sia nè positivo, cioè logico, nè scientifico, cioè funzionalità, né psicanalitico ossia narrativa e teoria delle proiezioni, né micro-costruzioni sociologiche ossia ideologie prosaiche. Distinguere l’apertura futura, non detta e non pensata dell’uomo, capire che la nostra epoca non ci appartiene, come una proprietà nostra, ma invece che siamo noi che apparteniamo ad essa come se fossimo suoi figli, in un’apertura culturale e poetica in una produttività sociale e divergente. Per questo dobbiamo essere aperti al fascino del tutto-nulla, provando sia il tutto che il nulla. Il gioco del mondo si fa da quando il mondo è mondo e fino alla fine del mondo con questo disperante ritardo che è l’eredità delle redenzioni. La questione che si pone è come rispondere simultaneamente alla corrente sotterranea che si muove all’ombra nello spazio-tempo e all’orizzonte degli orizzonti lontani che ci procura le sue luci.
da Atene :Apostolos Apostolou.
Professore di filosofia