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WHERE THERE IS PRESSURE……

Uno spettacolo di Danza che assomiglia ad un pugno nello stomaco. Tutto studiato per essere provato/sentito visceralmente: entrando nel bellissimo teatro ottocentesco restaurato di recente, l’accoglienza è stranamente lattiginosa: sapienti luci  a pioggia, rivelano una platea dall’atmosfera nebbiosa. La spiegazione è in un foglio allegato alla brochure: “Durante lo spettacolo viene prodotta nebbia,con acqua: si tratta quindi di vapore che non nuoce assolutamente alla salute”….ma è vero in parte..tutti ignari come siamo ,sedendoci , che quello che ci aspetta è un viaggio gravoso e inclemente nei sensi e nelle anatomie più legate alla Paura. E per 70′ continuati e senza tregue (volutamente non ho scritto “intervallo”, ricordando Primo Levi). Il buio totale si spacca con improvvise percussioni dal volume così forte che le vibrazioni arrivano dai piedi fino allo stomaco. Poi, con le luci sapientissime (appena troppo basse nel finale) di Lee Curran, istantanee di corpi immobili tra alcuni “luce/buio” di “piazzati”, a fissare immagini: un samurai con la sua spada fedele in ogni combattimento e persino nell’harakiri  che si infligge nel silenzio nostro e tra i pochi gemiti suoi…E’ morto il Guerriero , la disciplina,la Lealtà ai Credo più ferrei, la Tradizione, la voglia di lottare?
Buio di nuovo. Musiche live provenienti da un fondale che le luci dividono in 2 piani di altezza: sotto rullanti o tamburi indistinguibili ma che si immaginano sotto le mani dei musicisti; più in alto 5 chitarre elettriche devastanti , maneggiate come fucili e, alla sommità centrale, Lui : il despota, l’Urlatore , il Lupo inferocito che sproloquia, con voce roca da demonio, parole che non serve comprendere. Sotto tutto questo, i 10 ballerini , nei vari quadri quasi sempre a gruppi ondeggianti e con incastri di regia sapiente e mai statica. Movimenti che vengono eseguiti in contraddizioni continue: goffaggini agilissime (spalle quasi sempre curve, sguardi bassi, passetti trascinati e velocissimi come se tra quelle caviglie ci fossero catene), braccia sollevate ma mai stese del tutto, mani che sembrano riuscire a far  parlare le dita ma con una specie di stanchezza malata;  colli incassati , toraci irrigiditi ma in grado di sciogliersi sul pavimento in un attimo..per poi “risorgere” altrettanto velocemente: senza spigoli, senza fatiche di sorta eppure mai completamente stesi, aperti ad una  serenità possibile. I corpi restano comunque rattrappiti quel tanto da apparire un po’ implosi per troppa Paura, troppo sfacelo visto, provato e ancora addosso..come una nebbia che non si asciugherà mai più nè fuori, nè dentro.
E ancora su tutto questo queste schiene così spesso rivolte al pubblico eppure talmente espressive da non far rimpiangere i visi  altrettanto contriti ma belli dei ballerini. A  Schecther è molto cara questa modalità di apparente non comunicazione degli interpreti col pubblico, privilegiando  invece  più un focus individuato sul fondale. Ma in questo caso ancora più giustificato per sottolineare l’attrazione ipnotica della “massa”, della “tribù”  verso quel  lassù dove “il guru, il santone affamato del suo microfono”  ( cit. M.Guatterini) urla agghiacciando noi, spettatori vibranti di ritmi e richiami ai dittatori dell’ultima ora. E poi è impossibile non ravvisare, in tutta quella minimalità di mani, in quel rivolgersi al Fondale/Muro del Pianto, in quella affaticata ma inesorabile ritualità di gesti, la Preghiera devota da secoli, da generazioni di profeti di cui, forse, Shechter (israeliano) vuole sottolineare la Forza. Il finale è quasi al buio: le figure fluide , meno flesse su se stesse scivolano letteralmente dentro e fuori dalle quinte ripetendo rapidamente alcuni quadri a ritroso fino a concludere con il samurai: tutto ricomincia, nel buio della scena  come un seme nel buio della terra. Ma stavolta gli stridii delle chitare e il rombo delle percussioni sono sostituiti non più dai silenzi ventosi che ogni tanto davano tregua a interpreti e pubblico: è la voce morbida e materna di Joni Mitchell in “Both sides now” che culla le Paure, invita alla Speranza, lenisce i corpi non più irrigiditi mentre il sipario si chiude. E qui il coup de theatre del coreografo (presente anche come ballerino ): le luci di sala si accendono ma non abbastanza per indicare la fine dello spettacolo “..E’ l’intenzione di dare al pubblico un po’ di spazio, una sorta di cuscinetto tra quello a cui abbiamo appena assistito e la realtà degli interpreti che escono dal loro personaggio e fanno un inchino…”…Si riapre la scena e gli applausi riempiono quella distanza assieme ad urla di approvazione, sì, ma anche liberatorie di una tensione emotiva che si scioglie, finalmente.

Titolo: Political Mother Teatro: Adelaide Ristori- Verona Data: 6 aprile 2013
Coreografia di: Hofesh Shechter (tralascio biografie rintracciabili ovunque)
Musica di: Hofesh Schechter, J.S.Bach,Cliff Martinez, Giuseppe Verdi, Joni Mitchell.
Interpreti : 11 ballerini, 5 chitarre elettriche e 5 percussionisti.

 Cynthia Gangi

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