Ti accomodi sulla poltrona e cominci ad ascoltare i discorsi dei grandi o presunti tali: Mao, Kennedy, Khomeini, Berlusconi (tanto per cambiare). Lo vedi scendere di corsa dal palco con l’inconfondibile pizzo per andare a fare due passi nel foyer forse per incitare i ritardatari a fare presto: ha fretta di iniziare lo spettacolo e non vede l’ora di andare a mangiare il frico. Si è presentato così, fra il furbetto e l’accattivante Ascanio Celestini, ieri sera al Palamostre di Udine nell’ambito di Differenze Teatro Contatto 32, guardando l’orologio per il timore di fare tardi al ristorante. Mentre sembra parlare del più e del meno, ci ricorda che lo spettacolo comincerà a momenti: in realtà si è già in apnea nel suo vortice di parole, fra l’ironico e il grottesco.
“Io sono di sinistra” è la frase che ripete all’infinito il personaggio della prima scena. Eppure non ci crede nessuno: a quale sinistra può appartenere uno che conosce la Costituzione (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli) ma è convinto che se mezzo mondo combatte contro Gheddafi è giusto che la guerra la facciamo anche noi. E si dispiace perchè tutto sommato il dittatore libico è quello che ci rifornisce di gas e fa arrivare meno extracomunitari in Italia. Di sinistra negli intenti, qualunquista e opportunista nei fatti, non sembra lontano dai comportamenti di politici più o meno noti. La sua concezione di sinistra è così particolare che si scandalizza quando il figlio di 7 anni gli chiede cosa ci fanno quelle signorine africane per la strada con il culo di fuori mentre a Roma in macchina si spostano dalla Casilina alla Tuscolana, percorrendo Viale Palmiro Togliatti (quello sì di sinistra, anzi comunista!). Di contro, tesse le lodi delle escort, che fanno lo stesso mestiere ma sono tutt’altra cosa perchè frequentano ambienti altolocati. In tutto ciò, sinistra e destra ancora hanno un senso? Celestini risponde a modo suo: volete sapere perchè Renzi piace tanto alla destra? Ovvio, perchè è di destra.
La parte centrale è invece ambientata in un ipotetico condominio in cui si alternano quattro personaggi che hanno in comune la follia, l’inquietudine, la solitudine. Quello che sta nell’attico guarda tutti dall’alto in basso, conta solo lui e gli altri sono niente; quello del primo piano sembra paziente, rispettoso degli altri ma alla prima arrabbiatura investe un marocchino al semaforo; quello del terzo piano si sente al sicuro solo con la pistola in tasca anche se poi non la usa mai. Tutti fanno venire in mente storie di tiranni che usano il potere a proprio piacimento anche se con modalità differenti e una volta al comando sono tutti uguali: folli, inquieti e soli. Celestini assorbe, coinvolge, anche se in questa fase si dilunga e diventa ripetitivo. Piace, fa il piacione, a tratti sembra autocompiacersi troppo: ma è un peccato veniale che gli si perdona volentieri vista l’originalità del testo di cui è anche autore.
Lo spettacolo si conclude con il bastone e la carota, ciò che serve al nuovo tiranno per comandare. La fine è come l’inizio, a parti invertite: il personaggio sulla scena è un padrone chiaramente di destra, abituato da generazioni a comandare. Stima Gramsci, anche se non si capisce se ci creda davvero o se lo dica per compiacere le folle. A suo dire sono secoli che il popolo di sinistra sfoggia intelligenza e cultura: ma il nuovo capo si chiede, semplicemente e legittimamente, perchè al governo c’è lui e non ci sono quelli di sinistra che hanno studiato tanto. Celestini fa sorridere il pubblico che ha riempito il teatro: fa riflettere, fa ridere di gusto, fa pensare, fa rabbrividire, fa spettacolo con sapienza. Alla fine, applausi e frico meritatissimi per il bravo attore romano.
Claudio Trevisan