La mostra al cinema Visionario di Udine sulla vita dell’indimenticabile Farouk Boulsara, in arte Freddie Mercury, racconta sinteticamente il cammino dell’artista partendo da un’esposizione dei tabloid usciti il giorno della sua morte posti a cornice intorno ad un’opera astratta ( il brutale “24 Novembre” dell’artista Giulio Massimo Baistrocchi) : in mezzo alla stanza, cinque bacheche con dentro dei piccoli pezzi di vita e, in fondo al locale, uno schermo appeso alla parete da dove ininterrottamente sciamano le immagini dei concerti e dei videoclip della band di Kensington, mentre gli altoparlanti diffondono la loro musica (ahimè, in un unico canale, con il tristissimo effetto di una canzone stereo ascoltata con un’unica cuffia). Il tema dell’esposizione, oltre alla commemorazione del ventesimo anniversario della morte di Freddie è la lotta alla tremenda malattia che ne stroncò la vita, l’Aids.
Sulla parete destra della stanza sono esposte foto, un quadro (un’onirica rappresentazione del cantante, il “Freddie Mercury” di Ivana Burello), racconti di vita del cantante e della storia della band attraverso un iter apparentemente asettico e contenuto quanto la semplice stanza in cui è ospitato, ma che si rivela essere l’ingresso di un scavo nella quale le memorabili note della musica dei Queen accompagnano foto, dipinti, racconti, didascalie, pensieri e cimeli, dalle immagini del piccolo Farouk fra le braccia della madre alle toccanti fotografie dei devastanti effetti della malattia, passando attraverso i successi e gli scandali che hanno vorticato intorno alla figura dell’eclettico artista. Numerosi sono i documenti, tra cui il certificato di nascita e il certificato di morte, il suo testamento e le dediche di fan e amici più o meno importanti e famosi, come la foto del semplice biglietto di Elton John su un mazzo di rose, che rimanda al testo di “friends will be friends” . E la sua musica, le parole scritte a mano di “mother love” o “ a winter’s tale” sotto gli occhi e addosso come la sensazione che dalla foto appesa alla parete, quella mitica a fondo nero in cui tiene le mani incrociate sotto al mento, il suo sguardo ci stia guardando con un pizzico di commozione, con la sua voce, forte e maestosa che risuona in sottofondo e che rimane poi, una volta usciti, nella testa; certamente anche in quella di coloro che non ce l’hanno già nel cuore.
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Simone Callegaro
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